COMMUNITY

Sulla crisi lo spettro della forzatura georgiana del 2008

Ucraina/Russia/Nato
LUIGI DE BIASEUCRAINA/RUSSIA

Parlando con la stampa nel corso di un viaggio ufficiale in Estremo Oriente, il segretario americano della Difesa, Lloyd Austin, ha detto in settimana che «nella migliore delle ipotesi non assisteremo a un’incursione dell’Unione sovietica in Ucraina». Proprio così: il principale referente della Casa Bianca sulle questioni militari ha parlato di Unione sovietica anziché di Russia.
Un lapsus, un errore dovuto probabilmente alla stanchezza, la cui stessa esistenza in una fase così delicata nei rapporti fra Washington e Mosca fornisce, tuttavia, qualche indicazione sul modo in cui l’Amministrazione Biden guarda a questa crisi, e quindi sull’approccio che i più stretti consiglieri del presidente in carica hanno deciso di seguire. Da settimane dagli Stati uniti arrivano avvertimenti sull’ipotesi, a quanto pare sempre più concreta, di una invasione russa oltre il confine ucraino, un confine lungo il quale ormai da otto anni sono in corso scontri armati che ancora fanno decine di vittime. La ricostruzione è bollata come «paranoia» a Mosca, anche se il presidente, Vladimir Putin, ha fatto sapere che il paese reagirà nel caso in cui la Nato dovesse attraversare le linee rosse tracciate nella dottrina politica a partire dalla caduta del Muro di Berlino. È in questo scenario che si muove il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, un attore prestato alla politica, un uomo dello spettacolo passato in pochi mesi da una serie televisiva alla guida di una nazione divisa e complessa, in cui, peraltro, sempre si agita lo spettro della rivolta interna. Lo dimostrano il recente agguato contro Segei Shefir, il collaboratore più vicino a Zelensky, le improvvise accuse che il presidente in persona ha lanciato giorni fa contro presunti golpisti, nonché la decisione questa settimana di cambiare i vertici dei Servizi segreti, portando al controspionaggio un ufficiale dal passato discutibile come Aleksander Poklad, chiamato dalla stampa in Ucraina e in Russia «lo strangolatore di Kremenchuk», dati i sistemi usati nella caccia ai ribelli del Donbass. Per Zelensky, insomma, la priorità a due anni abbondanti dal successo elettorale è ancora la sopravvivenza personale fra i meccanismi del potere ucraino, e le tensioni di confine rappresentano un elemento di pericolo ulteriore. Non deve sorprendere che Zelensky e suoi uomini più fidati stiano cercando di ridurre anche a costo di smentirli gli appelli ricevuti da Washington e dalla Nato sulle truppe che la Russia starebbe concentrando a poche centinaia di chilometri dalla frontiera. Il rischio concreto è che Zelensky si trovi in una condizione molto simile a quella in cui, nel 2008 l’ex presidente della Georgia Mikhail Saakashvili scelse la via della guerra contro la Russia nella speranza, sostenuta con ogni probabilità da cenni e forse anche da promesse ricevuti in ambienti atlantisti, di riportare la sovranità di Tbilisi su due regioni autonome, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. L’offensiva georgiana durò una notte. La risposta russa otto giorni, otto giorni che segnarono profondamente i rapporti tra il Cremlino e l’occidente, ma anche il destino personale di Saakashvili, sconfitto alle elezioni successive, fuggito all’estero, passato per un incarico pubblico proprio in Ucraina, e oggi in carcere nel suo stesso Paese in condizioni giudicate critiche. A parlare esplicitamente della guerra in Georgia nel 2008 è stato Fedor Lyukyanov, uno degli architetti della politica estera russa. La sua potrebbe essere interpretata come una sfida aperta alla Nato. A ben vedere il più preoccupato del paragone è proprio Zelensky.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it