COMMENTO

Il ruolo dello Stato nelle infrastrutture fondamentali

Dopo le privatizzazioni
VINCENZO COMITO, ROBERTO ROMANOITALIA

Cosa sarebbe stata questa società se si ragionasse ancora di “Stato minimo”, di rispetto assoluto dei diritti proprietari, se non si fossero superati i fallimenti del mercato attraverso l’espansione dell’intervento pubblico?
L’intervento pubbico sul fronte delle entrate e delle spese? Se non si fosse promossa l’equità di quello che gli economisti chiamano lo “scambio fiscale”, garantendo in qualche modo i diritti proprietari e la libertà dal bisogno, oggi potremmo parlare di democrazia liberale? L’economia pubblica, almeno quella che insegniamo agli studenti del primo anno, ha delle prerogative stringenti. Il riferimento principale è l’economia del benessere che guarda alle forme di mercato diverse dalla libera concorrenza, ai beni pubblici, ai beni di merito, alle esternalità, e affronta l’incompletezza dei mercati, le asimmetrie informative, le crisi e i cicli economici. Proprio quando il sistema economico attraversa una fase di forte incertezza, soprattutto dal lato della pervasività dell’innovazione tecnologica, processi di cui è difficile percepire l’esito finale - si pensi alle biotecnologie, alle nanotecnologie, alla bioelettronica-, si corre il rischio di consegnare al mercato e al sistema di imprese una (pericolosissima) legittimazione storica e un ruolo sociale che sotto molti profili si avvicina alla legittimità e al ruolo propri dello Stato. È in gioco il ruolo del pubblico a favore di uno non meglio precisato del mercato e dell’impresa.
In Italia, dopo la spinta alle privatizzazioni, negli ultimi anni questa tendenza sembra (a margine) cambiare segno. Se pensiamo bene a quanto accaduto recentemente, dobbiamo pur considerare la rinazionalizzazione di Autostrade, Ilva, linee aeree. Nel frattempo è esploso il caso Tim, che ha fatto emergere la strategicità delle telecomunicazioni e, in fondo, quella di altre infrastrutture strategiche.
Al di là del caso specifico, alcuni decenni fa le varie reti erano interamente sotto il controllo pubblico, anche se mancava una gestione unitaria; mentre Tim e Autostrade si collocavano all'interno del gruppo Iri, l’acqua rientrava per la gran parte nel dominio dei comuni, le reti di distribuzione dell’energia elettrica sotto l’Enel e quelle di gas e petrolio all’interno del gruppo Eni.
Oltre al caso Tim, un gruppo che si trova in uno stato deprimente, anche il settore dell’acqua appare in una condizione certamente non brillante, mentre è stato del tutto disatteso il risultato del referendum, che, tra l’altro, il governo sta cercando di aggirare con il Pnrr (Pnrr, quanti delitti si commetteranno in tuo nome!); da una ricerca recente emerge che in Italia si fanno investimenti nel settore pari grosso modo soltanto a meno della
metà di quelli degli altri paesi europei.
Intanto la politica energetica nazionale continua a farla l’Eni, mentre assistiamo alla crisi dei prezzi dell’elettricità, un servizio pubblico veramente essenziale.
Occorrerebbe, a nostro parere, riportare tutto il sistema delle reti sotto l’ombrello pubblico ed avviare così una politica di coordinamento unitario.
Non meno importante appare poi decidere a chi affidarne la proprietà e la gestione. Per molti versi un azionista Mef non convince troppo.
Il fatto è che l’attuale classe politica non appare in grado di gestire professionalmente la partita. Pensiamo che sarebbe più opportuno affidarla ad una struttura più “tecnica” quale la Cassa Depositi e Prestiti. Si tratta certo di un entusiasmo a freddo, secondo un’espressione utilizzata a suo tempo da Thomas Mann, ma ci sembra l’unica strada percorribile.
Certamente la Cdp presenta oggi qualche problema. I suoi capi hanno presentato nelle ultime settimane il piano di sviluppo 2022-2024. Dietro i toni trionfalistici- vi si parla di attenzione al cambiamento climatico, ad una crescita inclusiva, all’innovazione e alla digitalizzazione- si deve registrare una rilevante spinta ad un suo ridimensionamento come attore pubblico attivo, ruolo che era stato potenziato sotto il Conte 2. Si parla di un approccio “complementare” e “sussidiario” rispetto al mercato, si mette l’accento sul rafforzamento della capacità di analisi e delle attività di consulenza e di gestione dei fondi pubblici soprattutto a beneficio della PA, di un approccio invece “estremamente selettivo” nella scelta degli investimenti (significa che se ne faranno il meno possibile), fungendo soprattutto da catalizzatore di altre risorse.
Certo, nel progetto da noi proposto l’accorpamento del controllo delle reti nella Cdp pone qualche difficoltà; così, in generale, quello del rapporto con la politica, mentre per il settore dell’acqua ed anche parzialmente per quello dell’elettricità bisogna affrontare il nodo del rapporto tra delle future strutture decentrate a livello societario e la stessa Cdp.
Et pourtant, nonostante tutti i problemi, bisogna cercare di combattere risalendo la corrente per portare avanti un progetto adeguato alle necessità dell’ora.

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