COMMENTO

Una statua immobile nel flusso della Storia

Theodore Roosevelt
ALESSANDRO PORTELLIUSA/NEW YORK

E così, non c’è più il monumento a Theodore Roosevelt davanti al museo di scienze naturali da lui fondato, più di un secolo e mezzo fa. Lui a cavallo, imponente, e un africano seminudo e un indiano con tanto di penne, a piedi, sotto la sua aura dominante e protettrice.
«Le torve popolazioni da poco conquistate, mezzi diavoli e mezzi bambini» di cui parlava l’ode al «fardello dell’uomo bianco» che Rudyard Kipling scrisse nel 1899, poco prima che Roosevelt diventasse presidente degli Stati uniti. E questo era quella statua: un monumento al fardello dell’uomo bianco, al diritto\dovere della razza dominante di tenere a freno e proteggere i popoli inferiori ad essa sottomessi. Toglierla da lì, dove ribadiva questo, era non solo opportuno ma necessario.
DICONO che spostare una statua (questa non è stata fatta a pezzi, ma trasferita in un apposito museo) significa cancellare la Storia. Io credo che cancellare la Storia sarebbe lasciarla lì, dove continuava a dire ai visitatori, e soprattutto ai bambini che scuole e genitori ci portano doverosamente (dal giovane Holden Caulfield di Salinger ai miei stessi figli) le stesse cose che i padroni del mondo proclamavano oltre un secolo fa. La storia da allora è andata avanti – la storia è movimento, le statue sono immobili – e da allora i «mezzi selvaggi e mezzi bambini» quel fardello se lo sono scrollato di dosso o ci stanno provando – e i padroni del mondo continuano a cercare di buttarglielo addosso ma usando altri mezzi e altri linguaggi.
Non per questo, ovviamente, cancelleremo Theodore Roosevelt dalla Storia. Sta in tutti i libri, sta nel museo a lui dedicato, non c’è pericolo che ci dimentichiamo delle cose buone e di quelle meno buone che ha fatto. Sbarazzarci di un imbarazzante monumento forse ci aiuterà anche a capire meglio come ci stava, quell’uomo a cavallo, dentro la Storia. Non crediamo più in quello che rappresentava; avere libri che ne parlano, e mettere la statua in un posto meno offensivo, può ricordarci che un tempo ci credevamo. Ma che la Storia è andata avanti e non siamo più così.
Un post scriptum. Ho detto che il Museo di Scienze Naturali è un luogo meraviglioso, e i miei figli da piccoli ce li ho portati ogni volta che ho potuto. Però. Vi ricordate di Holden Caulfield, nel romanzo di Salinger, incantato davanti al diorama degli indiani sulla canoa all’interno del museo? Ogni volta, io mi sono chiesto: che ci fanno gli indiani in un museo di scienze naturali? Fra le sale dedicate ai dinosauri e quelle dedicate ai coccodrilli c’è pure la Hall of African Peoples. Me la ricordo come una sala molto bella e ben documentata. Ma forse sarebbe il caso di domandarsi come mai gli africani stanno lì, fra le piante e agli animali – e seminudi appresso al cavallo dell’uomo bianco.

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