INTERNAZIONALE

Peng rassicura via mail. Dubbi sull’autenticità

L’EX TENNISTA SCOMPARSA
SERENA CONSOLEcina

In una email indirizzata a Steve Simon, il numero uno della Women’s Tennis Association, la tennista cinese Peng Shuai, sparita dopo avere accusato di violenza sessuale l’ex vicepremier Zhang Gaoli, esordisce con un «Hello everyone».
Il saluto, rivolto a più destinatari, apre però una missiva che alimenta i dubbi sulla sua autenticità. Il testo dell’email presenta elementi che fanno pensare che l’autore non sia Peng Shuai, ma qualche membro del Partito comunista cinese. Quel «salve a tutti» iniziale e l’augurio finale al tennis cinese sono descritti con toni formali e ben lontani dal post di denuncia sugli abusi subiti, pubblicato lo scorso 2 novembre.
Nella email, la tennista sosterrebbe che la notizia della sua scomparsa così come quella della presunta violenza con l’ex vicepremier siano false. «Mi sto riposando a casa e va tutto bene», rassicurerebbe Peng, che ha criticato anche il recente intervento del presidente dell’associazione sportiva.
Il testo della email è stato pubblicato su Twitter dal canale cinese in lingua inglese Cgtn, nel tentativo di tranquillizzare coloro che da settimane sono preoccupati per le sorti della campionessa: in realtà, sul social network vietato in Cina è stato pubblicato uno screenshot della lettera dove è ben visibile anche un cursore alla terza riga del testo.
Ma della missiva non c’è traccia sui media nazionali e la discussione online è fortemente censurata. Ci sono quindi diversi elementi per fare accrescere timori sullo stato di sicurezza di Peng.
Il primo a essere convinto che quel testo non sia stato scritto dalla tennista è il Ceo della Wta: Simon, infatti, nell’avanzare dubbi sulla sua autenticità, ribadisce l’esigenza di avviare un’indagine chiara e trasparente sul caso che vede coinvolto l’ex vicepremier Zhang, senza censurare l’atleta. E, soprattutto, senza esercitare pressioni o estorcere confessioni forzate.
Si spera infatti che Peng, che ha attivato la macchina del #MeToo per la prima volta contro un alto funzionario del Pcc, non rientri in quella lista di detenuti scomodi costretti a rilasciare dichiarazioni solo per zittire la comunità internazionale.
È accaduto per esempio nel 2019, quando i media cinesi hanno diffuso un videomessaggio in cui il famoso musicista uiguro Abdurehim Heyit, sotto la custodia delle autorità dopo una presunta violazione delle leggi nazionali, rassicurava sulla sua condizione di salute a seguito della diffusione della notizia sulla sua morte.
C’è anche il caso di Peter Dahlin, l’attivista svedese e attuale direttore della Ong Safeguard Defenders, detenuto nel 2016 e costretto a rilasciare una confessione in tv in cui ammetteva di aver violato la legge cinese.
Sebbene i casi siano differenti, la vicenda di Peng accende nuovamente i riflettori sulle modalità scelte da Pechino per sedare le polemiche internazionali. Ma ora l'attenzione è alta. Amnesty International ha condannato la Cina per il suo approccio di tolleranza zero alle critiche. E lo ha fatto sottolineando la lunga storia cinese di dichiarazioni forzate o fabbricate.

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