VISIONI

Lungo le rotte di Tori Amos, autoanalisi di un trauma

Una scrittura in cui le parole - e i suoni - prendono vita dalle performance
FRANCESCO BRUSCOUSA

In un famoso apologo di David Foster Wallace due giovani pesci ne incontrano uno più anziano che, nuotando in direzione opposta, dice: «Buongiorno ragazzi, com’è l’acqua?». I primi proseguono lungo la loro rotta, finché uno dei due guarda l’altro e gli chiede: «Cosa diavolo è l’acqua?». Non ci è dato conoscere la definizione invalsa all’interno della fauna ittica, ma abbiamo sufficiente familiarità con l’uso reiterato dell’allegoria acquatica, sempre efficace — proprio perché abusata — nel tradurre il vissuto personale in espressione artistica. In questo senso, Ocean To Ocean è una vera e propria talassoterapia di onde liquide e sonore, una spinta di Archimede che proietta Tori Amos oltre gli argini angusti della clausura.
«È INIZIATO tutto con Metal Water Wood, la prima canzone scritta per l’album», dichiara la cantautrice statunitense: «mi ero sempre identificata con il fuoco, ma in quel momento ho capito che dovevo essere come l’acqua». Il suo sedicesimo album in studio è l’autoanalisi di un trauma multiplo. Innanzitutto la perdita della madre, un lutto la cui elaborazione è stata repressa dai circoli viziosi del lockdown. Acqua che esonda colmando lo spazio tra l’America e il rifugio in Cornovaglia, distanza atlantica che Tori sembra voler annullare nell’immagine di copertina. Il dolore lascia tracce evidenti in Flowers Burn To Gold e Speaking With Trees, che fanno di Ocean To Ocean un album profondamente matriarcale, dato significativo per un’artista che ha più volte affrontato in musica — a cominciare da Winter, nell’album d’esordio Little Earthquake (1992) — il tormentato rapporto con la figura paterna e il relativo danno da deprivazione.
A SMUOVERE le acque, poi, altri traumi tornano in superficie. 29 Years rievoca la violenza sessuale già narrata in Me And A Gun (1991): «È una canzone che parla di accettazione, dell’importanza di prendere consapevolezza del dolore che si prova dopo un abuso del genere, un dolore da accettare e trasformare per rimettere insieme i pezzi». Sono esempi di quella scrittura che Alanis Morissette — con ulteriore metafora acquatica — ha definito «un bagno caldo»; una scrittura in cui le parole prendono vita nella performance, articolate in uno stile musicale e canoro che ha spesso portato a definire Tori l’anello di congiunzione tra la scuola femminile dei primi anni Ottanta e quella di fine secolo, tra Kate Bush e Fiona Apple.
In Ocean To Ocean i tratti tipici di quell’idioma trovano ennesima conferma, galleggiando in un sound reso anch’esso liquido da frequenze sapientemente mixate a diverse profondità, mentre gli arrangiamenti continuano a spaziare attraverso la palette codificata nei tardi Novanta (Addition Of Light Divided, Spies, Devil’s Bane gli esempi da manuale). Nell’oceano della Amos i temi di fondo restano sostanzialmente immutati, così come le forme della loro rappresentazione musicale, proseguendo sulla rotta intrapresa trent’anni fa. Forse ormai lei stessa si chiederà: «Cosa diavolo è l’acqua?».

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