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La storia ridotta a vuote parole

Divano
ALBERTO OLIVETTIITALIA

Fascismo, nazismo, comunismo. Tre parole che hanno trovato, con crescente intensità da un mese a questa parte nelle settimane della campagna per le elezioni amministrative, un vasto impiego. Parole dette ripetutamente nelle dichiarazioni di parlamentari della Repubblica, pronunciate da alti esponenti dei partiti e dei movimenti, dai vari candidati a sindaco e a consigliere comunale. E che abbiamo ascoltato sulle labbra dei conduttori televisivi e recepite dagli ospiti fissi in giro per i numerosi talk show.
In che senso comunismo, nazismo e fascismo ridotti a parole? Svuotati dell’ingente portato storico che racchiudono e consegnano a rigorose e affilate capacità di analisi, per essere impiegati alla carlona quali titoli di richiamo, come insegne pubblicitarie nel paese di acchiappacitrulli, come etichette di prodotti confezionati senza istruzioni per l’uso, adoperati da chi non dà alcun affidamento e mostra di avere di quell’uso cognizioni assai confuse.
Dunque parole, etichette, titoli che era possibile giudicare destituiti, nei dibattiti elettorali di questi giorni, quasi completamente di senso. Privati cioè della qualità di ragionamenti intorno a questioni che sono criticamente affrontate da un secolo di studi, di opere d’arte, di intense testimonianze di elevata umanità. E comportano problemi e tematiche da un secolo approfondite con rilevanti strumentazioni dalla indagine storica e con penetranti delucidazioni dalla riflessione filosofica.
Formidabili accadimenti politici. Formidabile, si usa per designare quanto risulta di eccezionale rilevanza, insegnano i vocabolari. E quanto eccede l’ordinario porta con sé timore, la latina formido, termine che in formidabile si conserva intatto. Accadimenti politici formidabili, coinvolgenti e terribili ridotti a vuote parole da affidarsi alle subculture politiche oggi dominanti in Italia. Un dominio che si consolida ed è la risultante di un trentennio di progressivi e crescenti cali e perdite della cultura e delle sue istituzioni, giunte nel nostro paese a limiti estremi ed allarmanti.
Ma teniamoci al degrado della cultura politica. Ne richiamo sommariamente due processi che, a parer mio, possono dirsi esemplari.
Non è certo difficile constatare la pochezza storica (talora la grettezza) e la modestia politica dei giudizi che numerosi esponenti di primo piano delle formazioni partitiche succedutesi dopo il 1991 (dal Partito democratico della sinistra ai Democratici di sinistra all’attuale Partito democratico) hanno espresso sul Partito comunista italiano e sui comunismi del Novecento. Dico i comunismi, non dico il comunismo. Quel singolare che hanno senz’altro adottato nel Pds, nei Ds, e nel Pd che era già appannaggio e contrassegno delle subculture anticomuniste di ogni bandiera.
Ma, ad ulteriore conferma della prevalenza nella cultura politica italiana attuale di depositi subculturali ai quali si attinge ad incremento degli argomenti sollevati non solo nelle discussioni televisive, con speciale riguardo alle questioni del fascismo, del nazismo e del comunismo, non sarà inutile tener conto delle dichiarazioni di quei parlamentari rispettosi del fascismo italiano tra le due guerre e in condizioni di esercitare, attraverso le televisioni, una influenza non trascurabile tra gli ascoltatori. Si può facilmente in proposito osservare il livello gramo (dal punto di vista d’una dignitosa elaborazione storica), e il grado palesemente al di sotto della bisogna (rispetto ad una ragionata assunzione di istanze positive alle quali richiamarsi), là dove si è attestato il mondo postfascista e neofascista in Italia, a far data dal dicembre 1946, settantacinque anni fa, quando fu fondato il Movimento sociale italiano. Se quanto son venuto notando fin qui in margine alle discussioni sui casi che hanno sollevato in questi giorni le questioni del comunismo, del fascismo e del nazismo ha un qualche fondamento, il futuro della politica italiana non può che destare preoccupazione.

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