COMMENTO

L’eolico e il cattivo uso dei soldi del Pnrr

Civitavecchia
MARIO AGOSTINELLIITALIA/CIVITAVECCHIA

La fretta nel varare le “riforme” per l’accesso ai fondi del Next Generation dell’Unione europea spinge sullo sfondo il permanere di principi che non innovano l’economia sociale.
Corroborando, invece, i meccanismi di comando e una distribuzione di poteri che reitera opere, infrastrutture e una delega al sistema delle imprese, che contraddice le aspettative di una pertinente autocritica del sistema per un cambiamento strutturale dei suoi indirizzi. I pochi titoli sui Pnrr che circolano, silenziati dal clamore delle manifestazioni contro il green pass e per nulla ripresi nemmeno nelle campagne delle amministrative, sono sussurrati con pudore e rimbalzano tra capitoli del tutto incompatibili con gli allarmi del mondo scientifico sul clima.
NON C’È TRACCIA della qualità dell’occupazione che deriverebbe da uno spostamento dal profitto alla cura, dell’orario di vita studio e lavoro rivisitato per le nuove generazioni da risarcire dopo la terribile prova del virus. Si direbbe, invece, che la strategia del governo punti a non turbare quegli stessi rapporti di forza che hanno mostrato il loro fallimento anche nella pandemia.
Le previsioni di politica energetica che rimbalzano dal nucleare al maggior sfruttamento dei giacimenti di gas nazionale (!), etichettando con lacrime e sangue l’introduzione sostitutiva di impianti rinnovabili da progettare nell’immediato e da realizzare non oltre il 2025, fa parte di una coazione al rinvio, ormai stucchevole ed irresponsabilmente colpevole. Non a caso, Stagnaro e Testa, frequentatori assidui dei ministeri, paventano, sul Foglio del 15 ottobre, come “l’errore di sacrificare la crescita senza benefici ambientali” vada pragmaticamente corretto tra l’“essere” e il “dover essere” dei mercati energetici, che, evidentemente, rispondono al massimo profitto. Per loro il World Energy Outlook è solo un “difficile esercizio di equilibrio tra l’esigenza (politica) di indicare l’obiettivo della neutralità carbonica, e le spinte della realtà”. Perciò, si deve rinunciare alla soglia di 1,5°C, “ricorrere al nucleare dove accettabile, produrre l’idrogeno a bassa impronta di carbonio (verde o blu) e la cattura e stoccaggio della CO2”. In fondo è quanto ripetono i Cingolani, i Bonomi, i molti guru di Nomisma, i dirigenti dell’Eni, i più renitenti conservatori di Enel.
MA SE COSÌ AMPIO e pericoloso sta diventando questo imprudente e inaspettato schieramento, perché non si parte dal consenso che le popolazioni hanno già dato a progetti di uscita dal fossile come nel caso che ben conosco di Civitavecchia, per farne un caso nazionale?
Il progetto che dovrebbe approdare sulle coste tirreniche è largamente condiviso sia a livello istituzionale, sia sindacale che tra le rappresentanze sociali del territorio. Più parti istituzionali hanno sollecitato un tavolo governativo. Al posto di un turbogas da oltre 1800 MW, verrebbe rivisto il sostegno alla rete dei pompaggi e, soprattutto, verrebbe realizzato un sistema eolico offshore galleggiante, a 30 Km dalla costa con le giuste caratteristiche del fondale marino e della intensità dei venti, per una produzione iniziale di 210 MW, che andrebbe sostenuto – questo sì – anche coi fondi del Pnrr ed una parziale partecipazione pubblica.
Nascerebbe nella città laziale un vero e proprio hub del Mediterraneo per l’eolico offshore. dove assemblare i componenti e successivamente organizzare le attività di progettazione e costruzione per altri siti, creando vere opportunità di nuova occupazione e di lavoro di qualità. Le stesse attività portuali sarebbero appoggiate da un sistema fotovoltaico con accumulo di idrogeno, da eventualmente impiegare come vettore nei servizi.
AL POSTO DI NUOVE emissioni e di un calo occupazionale, avremmo indiscutibili vantaggi Il kWh da nuovi impianti a fonti rinnovabili costerebbe un terzo di quello prodotto dalle centrali a gas esistenti La crisi del gas rischia di diventare una crisi sistemica. Vi sono cause che potremmo definire transitorie e congiunturali, altre che invece appaiono più strutturali. Non ultima l’opposizione netta degli ambientalisti alla sua etichettatura come verde nella tassonomia che sta esaminando l’Ue e, quindi, un trattamento ostile da parte della comunità degli investitori che, con l’avvicinarsi della Cop 26, temono che l’imposizione di emissioni zero comprometta l’allocazione di capitali in investimenti fossili
STA DIVENTANDO STRUTTURALE la progressiva finanziarizzazione del mercato del gas con la comparsa di futures, strumenti finanziari derivati il cui utilizzo non comporta lo scambio fisico bensì prevede il pagamento in contanti della variazione di valore della materia prima alla scadenza del contratto. La strategia dei potenti gruppi finanziari è quella di far lievitare i prezzi delle materie prime (compresa l’acqua che viene quotata in borsa) per rivendere i futures a un prezzo più alto. Quindi, il prezzo del gas diventerà sempre più aleatorio e la battaglia sul contenimento delle bollette energetiche avrà ancora meno frecce al suo arco. Tutte queste considerazioni fanno di un caso particolare l’aggancio ad un indirizzo di politica energetica nazionale che ha come protagonista il governo, che non può lasciare alle sue partecipate - Eni ed Enel (che, tra l’altro, sostengono pratiche finanziarie assai diverse) - uno spazio di autonomia tale da compromettere il futuro industriale oltre che ambientale e climatico del Paese.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it