VISIONI

«Sex Education», un juke box sensoriale tra musica e scoperta gioiosa del sesso

LA TERZA STAGIONE DELLA SERIE SU NETFLIX
LUIGI ABIUSIusa

Nei Rencontres d'après minuit di Yann Gonzalez, subito divenuto film di culto da quando apparve a Cannes nel 2013, compare un juke box emozionale sfavillante di luci al neon e superfici di plexiglass senzienti che si adegua allo stato d'animo di chi lo tocca, anzi lo espande, tant'è che La Cagna (Julie Brémond) vi è in totale balia ballando, muovendosi come una marionetta tenuta dai fili, dal ritmo di un M83 conturbante. Un connubio tra immagini e musica che è alla base di alcune delle migliori serie degli ultimi anni, da True Detective a Mindhunter, fino a quel capolavoro del racconto-per-immagini-contemporaneo che è Breaking Bad il cui finale ancora risuona di Baby Blue dei Badfinger.
Ecco, Sex Education, arrivata alla terza stagione (su Netflix) è, continua a essere, un juke box sensoriale che tiene i fili dei personaggi e delle scene, soprattutto delle scene principali, spesso a chiusura di episodio, intessute di musica, che acquistano un senso, un significato sentimentale in virtù della musica. Si va dall'hip-hop al rock al folk, ecc.: da KRS-One ai Duran Duran ai Blur di Tender, poi ancora l'ipnotico afrobeat, in estasi da bassi, di Shake Body di Skales, quando Eric si ritrova a ballare in un locale clandestino a Lagos, fino a Bill Callahan e Ezra Furman. E il transito da una canzone all'altra, cioè da un sentimento all'altro che via via intesse la sequenza, è repentino: capita che si passi da un momento grottesco, con donne incinte che fanno yoga mentre rilasciano peti, alla scena successiva in cui subentra la commozione più nitida, un abbraccio insperato tra madre e figlia, gli occhi liquidi di un ragazzo disabile innamorato, una qualche malinconia che si staglia nel cielo rossastro sopra Moordale, sotto il segno, magari, di The Breeze/My Baby Cries.
È PROPRIO questo veloce, gioioso contrappunto rispetto all'esplicitezza dei temi, tra sesso spinto e soffusa emotività, uno degli aspetti preminenti di questa serie e tanto più della terza stagione: la naturalità, l'innocenza con cui si intende il corpo e le sue inferenze, che si tratti appunto di una sinfonia di peti-in-yoga o di una sacca di escrementi piombati all'improvviso su un parabrezza, per cui il pater familias francese lì a cercare di eliminarli con i tergicristalli e quelli renitenti che s'incrostano sempre più al vetro. Assodata la centralità del corpo e della pratica sessuale che lo riguarda e lo esalta, la concentrazione su specifiche parti del corpo che spesso diventano il leitmotiv degli avvenimenti; se ad esempio nella prima stagione l'attenzione era rivolta alla bocca, alla fellatio e al cunnilingus, si direbbe che in questa terza stagione la funzione dell'ano sia preminente rispetto ad altri orifizi. In particolare, e in sintonia con una missione educativa della serie che non viene mai meno (tant'è che io credo che tutti i ragazzi dai 14 anni in su dovrebbero vederla), la questione della passività o dell'attività dei ragazzi nei rapporti omoerotici: chi accoglie il pene? chi lo inocula? quali sono i ruoli?
ANCORA UNA volta il portato politico, liberatorio di questa serie (con riferimento anche alla liberalizzazione delle droghe leggere) si rivela eccezionale a fronte di un totale sovvertimento dei ruoli, anzi di una liberazione dai ruoli, che riguarda anche gli adulti se è vero che pure il preside Groff si emancipa dalla propria condizione burocratizzata e scopre il piacere di cucinare, oltre che di scopare. Ma i pregi di Sex Education 3 sono anche altri: sono estetici, cinematografici; contemplano la citazione, che diventa ancora più esplicita che in passato, quando i ragazzi ad esempio sono al bowling mentre parte The Man in Me di Bob Dylan come nel Grande Lebowsky, o rispetto al personaggio di Isaac che ricorda il Christy Brown del Mio piede sinistro, o rifacendo in una straordinaria versione tragicomica la scena iniziale di Antichrist, per alludere ai danni di una sessualità malata, di quella sessualità cioè che non sia esaltazione gioiosa del proprio corpo, del proprio essere ed esprimersi, e di quelli altrui.

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