VISIONI

Il «fantastico» festival nella piccola Yubari

Maboroshi
MATTEO BOSCAROLgiappone/yubari

Situata nell’Hokkaido, l’isola più settentrionale del Giappone, la cittadina di Yubari ha una storia piuttosto interessante. Vivace ed attiva fino alla prima metà del secolo scorso, grazie alla grande miniera di carbone ora inattiva, la zona gradualmente si spopola, agli inizi degli anni novanta collassa economicamente e nel 2008 la città è costretta perfino a dichiarare il fallimento. Fra le varie attività che nei decenni hanno provato a mantenere in vita Yubari, oltre alla produzione del melone, c’è anche nel 1990 il lancio di un festival del cinema. Conosciuto oggi come Yubari International Fantastic Film Festival, la manifestazione presenta annualmente una selezione di lavori di genere, soprattutto fantascienza e horror. Anche quest’anno, come accaduto nella scorsa edizione, il festival si sta svolgendo online a causa della pandemia (dal 16 al 20 settembre), e una parte dei film selezionati è visibile anche al di fuori del Giappone. I lavori presentati al festival hanno di solito un taglio da B-movie e un budget limitato, non tutti naturalmente, ma sono carichi di un’inventiva che cerca, almeno nelle intenzioni, di sopperire a questa mancanza di fondi.

Un esempio lampante di questo approccio è Lovely Little Ai della giovane Mana Candice Ono, già presentato al Pia Film Festival, evento che da decenni getta luce sulle nuove generazioni di filmmaker. Il lungometraggio è una commedia super leggera, ma con un cuore pulsante, che descrive le vicissitudini di Ai, una studentessa sedicenne senza madre e con un padre severo che a poco a poco, grazie all’incontro casuale con un travestito, si apre al mondo. Divertente esperimento pop a basso costo, che deve molto alla moda e allo stile delle ragazzine di Harajuku, e anche se spesso esagera con il metafilmico, riesce a creare una storia e dei personaggi veri e credibili, nonostante, a prima vista, tutto sembri patina senza contenuto.
Di tutt’altro genere è 12 Months of Kai di Mutsumi Kameyama, una storia di fantascienza che però per i temi raccontati, l’uso delle luci e le buone prestazioni delle attrici sembra più un lavoro di Ryusuke Hamaguchi, senza raggiungere le vette del regista di Drive My Car naturalmente. La storia è quella di Kyoka, trentenne insoddisfatta della sua vita sentimentale che decide di comprare un PCH, personal care humanoid, un umanoide sintetico in tutto e per tutto simile ad un uomo, come compagno. Il film segue dodici mesi nella vita dei due, i dubbi, le presentazioni alle sue amiche, l’amore che sboccia, fino all’imprevedibile finale. Il lungometraggio è stato presentato in alcuni festival fuori dal Giappone e sembra che sia già in cantiere uno spin-off dedicato all’azienda che nel film produce questi umanoidi.

Un’interessante riscoperta è stata 0&1 di Nakata Kei, film del 2001 ora ripresentato al Festival nella sua versione rimasterizzata, anche se si tratta di un prodotto girato a bassissima risoluzione. La fine degli anni novanta erano del resto il periodo in cui si sperimentava con le videocamere DV portatili, che fornivano sì grande mobilità, ma creavano un’immagine molto sgranata. Vedere 0&1 e la storia dei due giovani killer che girano in una Tokyo come la possiamo vedere nei filmati amatoriali di famiglia, è un tuffo nella storia recente del cinema. Ma il festival non offre solo film giapponesi, ci sono anche lavori dal resto del mondo, da segnalare almeno Zombie Infection - Belaban Hidup di Ray Lee Voon Leong, interessante horror girato nel Borneo, con la maggior parte degli attori provenienti dalla gruppo etnico degli Iban.

matteo.boscarol@gmail.com

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