VISIONI

Fast Animals and Slow Kids «Musica come cura fisica»

IL 17 SETTEMBRE ESCE «È GIÀ DOMANI»
CECILIA ERMINIITALIA

«Quando nel 2020 è esploso il mondo, abbiamo sentito la necessità di fermarci e riflettere su questi 13 anni di vita musicale. Abbiamo voluto un titolo che provasse a cristallizzare il nostro sentimento, che racchiudesse il senso intero di tutto l’album. È già domani vuole riflettere infatti sul concetto di tempo e ricordare a tutti di vivere il presente, senza necessariamente guardare e proiettarci nel futuro». Esordiscono così i Fast Animals and Slow Kids a pochi giorni, venerdì 17 alla faccia della scaramanzia, dalla pubblicazione di È già domani. Sesto album in studio per la band perugina composta da Aimone Romizi, Alessandro Gercini, Jacopo Gigliotti e Alessio Mingoli. Alfieri, ben prima dei Måneskin, di un garage-rock distorto che flirta apertamente col pop, gli umbri alle soglie dell’essere adulti pubblicano un disco molto diverso, anche concettualmente, dai precedenti.
COME SPIEGA il leader della band Aimone: «Prima le canzoni erano un riflesso emozionale di noi stessi e delle nostre esperienze. Oggi sentiamo il bisogno di mettere in musica pensieri e domande esistenziali. Che spesso non chiudiamo ma l’importante è porsele. Abbiamo voluto, forse per la prima volta, instaurare un dialogo diverso con l’altro/ascoltatore». È in questo caos contemporaneo, alla ricerca di punti di riferimento, che i Fask muovono i loro strumenti, mescolando le loro influenze rock ai synth e al rap. Specialmente nel brano, con Willie Peyote, Cosa ci direbbe: «Ormai i featuring sono una moda e in passato non ne avevamo mai fatti. Durante le registrazioni però abbiamo pensato che con Willie si potesse instaurare un bel dialogo e infatti la parte di testo che ha scritto lui racchiude alla perfezione il senso del brano». Scorrendo le altre tracce, tra le quali il nuovo singolo Senza deluderti e l’ottima collaborazione con Lodo Guenzo per Come un animale, il disco fotografa istantanee di vita molto precise. Quasi catartiche, le parole riflettono «un periodo forzatamente contemplativo e visto che la musica ci cura tutti, abbiamo deciso di mettere dentro a questo disco i momenti più belli e quelli più bui. Anche per esorcizzarli, cristallizzarli e far uscire da noi anche quella quantità di dolore che non riuscivamo a gestire» spiegano in coro.
«CI SIAMO sempre protetti stratificando moltissimo i suoni, ora abbiamo meno paura di esporci. Anche perché dopo la pandemia sentiamo la necessità di qualcosa di fisico, tangibile, di un contatto diverso. Ci sembra sia un po’ un sentire comune, molte band stanno tornando alla strumentazione «dura e pura», come se ci fosse una ri-sessualizzazione della musica»

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