CULTURA

Candiani, breviario poetico del tempo presente

«QUESTO IMMENSO NON SAPERE»
ALESSANDRA PIGLIARUITALIA

«Non basta la vista abissale, mia cara, guardati intorno, la tua vista periferica è molto carente, ora te lo scrivo sul braccio sinistro, così non te lo dimentichi più». L’insegnamento nel messaggio della medusa, incontrata da Chandra Candiani durante il bagno in una baia, è pratica della misura che la scrittrice deposita nel suo ultimo libro, Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano (Einaudi, pp. 159, euro 12 - firmato senza il secondo nome «Livia» con cui ha invece licenziato tutti i suoi precedenti). Composto da pensieri brevi e altrettante osservazioni che conservano un senso iniziatico e di antica meditazione, gli interrogativi da cui prende avvio sono situati nel presente da cui Candiani non intende sottrarsi. Inventario di sottigliezza in tempo di pandemia, questo libro esprime «ciò che si tocca senza afferrare».
È UNA GRAZIA MINIMA, per esempio augurare la durata di una gioia quando ci si felicita non della propria ma di quella altrui. Accade raramente, soprattutto quando si cercano parole a una realtà sempre più opaca e ingrata. Candiani sembra celebrarne ogni frammento, ogni collisione di incommensurabile che va a ricomporsi nella misura depositata lungo la sua intera produzione.
Il sottotitolo dà ulteriori indicazioni, non si ha esattezza di questa ricerca bensì la si apre, spaccandola tra finito e infinito. Alberi, animali e cuore umano diventano interlocuzioni predilette, apprendistati di gentilezza e sopravvivenza esistiti all’orizzonte fin dall’infanzia dell’autrice, particolarmente complessa, sono creature di cui si è riconosciuto lo sguardo, la meraviglia paradossale di una custodia. La folla del vivente, i suoi spasimi e i suoi piani di intensità, le sue perdite, scuotono anche le numerose pagine poetiche, da Bevendo il tè con i morti (2007, poi 2015) a La bambina pugile (2014) e ancora Fatti vivo (2017) o anche La domanda della sete (2020). Precisare il «non sapere», in un momento in cui si sbraitano certezze e svariate onnipotenze, sembra una distanza inaccettabile dalla realtà mentre, al contrario, significa esserci precipitate dentro, talmente in fondo da sentirne il rischio esiziale. Di questa fatica, Candiani ci ha resi edotti fin dal suo principiare nel linguaggio, ne è un monito Vista dalla luna (2019) che ripercorre versi giovanili nello scampo possibile in mezzo al dolore.
Questo immenso non sapere giunge allora in prosa poetica a sintesi laboriosa, vi sono attese, asini, file al supermercato, un sentire del corpo che va risvegliato, ci sono Zivago e Karen Blixen, il male ricevuto, la crudeltà, insieme a letture buddhiste e indomabili fiducie. In cosa non si sa, sono questioni senza nome. È tuttavia anche una presa d’atto calata nel presente di una pandemia, di un dichiararsi «adatte» a un simile collasso della prestazionalità cui non si è mai aderito, né prima né adesso.
I TERRITORI IMPREVEDIBILI sono lacerti che seguono il passo di un movimento, in ascolto dello smarrimento, dell’abbandono e della necessità di dislocazione, come succede nel lavoro di Maria Lai nel paese di Ulassai: «legarsi alla montagna è arte celeste dello spostamento», all’universo contaminato che Candiani porta con sé. Il filo con Il silenzio è cosa viva (2018) è visibile, quando la poeta ribadisce la semplicità che intende officiare, nel suo proposito di rimanere ancorata al mondo, alla natura in cui ha scelto di vivere andandosene via dalla città. E al cuore umano, di cui Maria Zambrano per prima aveva intuito l’apertura sorgiva.
È da lì che la vista periferica scandisce meglio i giorni, collocandoci nello spazio e nel contesto in cui siamo. Quando lo dimentichiamo, arriva qualcuno o qualcosa a ricordarcelo, come una piccola e luminosa medusa che punge, sì, la nostra invulnerabilità, che magari è solo frutto di imperizia.

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