VISIONI

Sguardo di bimba tra boxe e riscatto

«CALIFORNIE» ALLE GIORNATE DEGLI AUTORI
SILVIA NUGARA ITALIA/VENEZIA

Californie di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, presentato in questi giorni a Venezia per le Giornate degli Autori, inizia con un passaggio di testimone dal precedente lungometraggio della coppia, Butterfly (2018), che è anche uno scambio solidale tra realtà e finzione, tra documentario e film a soggetto. Butterfly era un film d’osservazione sulla crescita e la preparazione atletica di Irma Testa, prima donna pugile italiana a qualificarsi per un’olimpiade, quella di Rio de Janeiro. Testa riappare brevemente in una delle prime scene di Californie che è in realtà un frammento del finale di Butterfly.
SIAMO NELLA PALESTRA di boxe del «maestro» Lucio Zurlo. Irma si sta allenando dopo la cocente delusione di Rio: le ci è voluta molta forza di carattere per rialzarsi e combattere e, come si è visto a Tokyo 2020 dove ha conquistato uno storico bronzo, la sua perseveranza sarà ripagata. Una bambina la osserva con gli occhi che brillano: «questa vuole essere come te, è pure scostumata come te» dice l’allenatore. La piccola si rivolge a Irma: «A quanti anni sei entrata in palestra?» «A 12» dice la ragazza. «Io a 9» replica lei con una punta di sfida, di speranza che quei tre anni di vantaggio siano una promessa di successo.
Nel resto del dialogo emerge che la bambina è nata in Marocco e fa la quarta elementare. Il suo italiano ha già barattato l’accento nativo per una decisa inflessione dialettale. È gracile ma fa piegamenti e tira pugni con determinazione impressionante: è destinata anche lei a diventare una campionessa?
A VENEZIA, i registi hanno raccontato: «Durante la lavorazione di Butterfly, ci siamo soffermati spesso sullo sguardo deciso e allo stesso tempo misterioso di quella bambina di nome Khadija: eravamo convinti che portasse in sé una storia da raccontare. Terminato il film siamo tornati a Torre Annunziata per conoscerla meglio. Il suo carattere irrequieto, ribelle, a volte scontroso ma anche dolce, fragile e carismatico ci ha conquistati. L’abbiamo frequentata facendo diverse sessioni di riprese per testarne le qualità recitative. Quando abbiamo capito che sarebbe stata in grado di sostenere il peso di un film abbiamo iniziato a pensare a una storia, a plasmare il personaggio di Jamila pronto a essere arricchito dalle idee ed esperienze di Khadija e dal suo contesto famigliare e sociale».
Scritto con la sceneggiatrice Vanessa Picciarelli, a lungo collaboratrice di Corso Salani, il film procede nutrendo l’invenzione cinematografica di indagine in un luogo, nella sua realtà, e segue la ragazza dagli 11 ai 14 anni. La vocazione pugilistica si esaurisce presto, subentrano la ribellione, l’abbandono scolastico, il sogno di tornare in un Marocco idealizzato finanziandosi con creste sulla spesa, piccoli raggiri, mille bugie finché Jamila non trova lavoro da una parrucchiera che la paga in nero rispondendo al suo desiderio di riconoscimento ed emancipazione. La soddisfazione però non le dà modo di rendersi conto dello sfruttamento che sta subendo, dell’infanzia che le è stata negata. Il congegno ibrido di questo affresco sociale funziona grazie alla complicità della famiglia – soprattutto della sorella della ragazza – e all’ironia di cui è esempio il titolo, un errore di battitura che l’arte di arrangiarsi può trasformare in un vezzoso francesismo o in un plurale che lascia intravedere mondi possibili.

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