CULTURA

Nelle vite dei miei nonni islandesi la sapienza per un pianeta sano

ANDRI SNÆR MAGNASON
FARIAN SABAHIislanda/italia/venezia

«Gli allagamenti dei giorni scorsi sulla costa est degli Stati Uniti non sono un evento inaspettato. Nei prossimi decenni la situazione non migliorerà: il livello dei mari si sta alzando, gli uragani si verificano con maggior frequenza e intensità anche a causa dell’aumento delle temperature. È necessario investire risorse per proteggersi dalle alluvioni. Quello che è successo a New Orleans dimostra come le condizioni climatiche costringano gli abitanti ad andarsene: hai appena finito di ricostruire e un’altra tempesta distrugge tutto. Non ti resta che fare i bagagli e trasferirti altrove». È proprio il cambiamento climatico il tema che lo scrittore islandese Andri Snær Magnason (Reykjavík, 1973) tratterà oggi tra le 11 e le 12,15 nel dibattito che si svolgerà nel padiglione Danimarca alla Biennale di Venezia Architettura 2021.
Intitolato Con-nect-ed-ness per mettere in evidenza le correlazioni del pianeta, il padiglione danese è immaginato come una grande installazione attraversata dall’acqua, in un flusso continuo e incessante, con passerelle sopraelevate che offrono al visitatore un’esperienza sensoriale, permettendogli di riflettere sulla centralità dell’acqua. Andri Snær Magnason è autore del saggio narrativo Il tempo e l’acqua (trad. Silvia Cosimini, Iperborea, pp. 353, euro 19,50) insignito del Premio Terzani 2021 in cui mescola gli approcci più vari, da quello poetico a quello scientifico, fino a un affondo antropologico e autobiografico. Domani lo scrittore sarà ospite a Chiassoletteraria e lunedì alla libreria Colibrì di Milano, e poi in altre sedi, tra cui il Festivaletteratura di Mantova (domenica 12 ).
Perché non siamo in grado di salvare il pianeta?
È una questione complicata, non ce ne rendiamo pienamente conto, né noi come opinione pubblica né i nostri politici. Il dibattito sul clima è iniziato nel secolo scorso, i nostri consumi non sono sostenibili ma perseveriamo a vivere nello stesso modo. Abbiamo a disposizione i dati scientifici sul cambiamento climatico e sui danni inflitti al pianeta, eppure la nostra immaginazione non è in grado di recepirli. I governanti non sono d’aiuto, però viviamo in sistemi democratici e possiamo votare diversamente. I mezzi di comunicazione spesso confondono soltanto: si pubblicano articoli che negano le conseguenze negative di questo nostro precipitare. Così, ho pensato che avrei potuto dare il mio contributo presentando la questione da un punto di vista diverso rispetto agli scienziati. Come scrittore, ho raccontato quel che stava accadendo attraverso le vicende personali dei miei nonni. In fondo, è stato uno di loro a farmi capire cosa fosse la felicità. È restato a vivere in Islanda, non era benestante, ma aveva restaurato la sua fattoria e durante l’estate radunava lì tutta la nostra famiglia.
Nel libro, lei riporta l’incontro con il Dalai Lama: si considera una persona in qualche misura religiosa?
Non sono ateo ma nemmeno religioso in modo attivo. Rispetto le diverse fedi e sono anche sono consapevole dei problemi che creano nelle società. Se fossi religioso, la mia religione sarebbe la poesia.
Cosa significa vivere in un’isola remota come l’Islanda?
È un posto strepitoso. Tra i 3 e i 9 anni ho vissuto nel New Hampshire. Mio nonno era chirurgo a New York e operò Mohammad Reza Pahlavi, in esilio a causa della Rivoluzione iraniana. Era la fine di ottobre del 1979, avevo 6 anni. Quel periodo negli Stati Uniti mi ha offerto la possibilità di avere una prospettiva del mondo e dell’Islanda da fuori. A Reykjavík eravamo indietro di qualche anno e per me tutto ciò voleva dire aver già fatto esperienze che sarebbero arrivate dopo. C’erano comunque alcune cose che per gli islandesi erano scontate e che invece avevano un valore universale. Basti pensare alle relazioni famigliari, al rispetto per la natura e i paesaggi.

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