VISIONI

Ribelli e visionari, storie di vite adolescenti nel tempo lento della Laguna

«ATLANTIDE» DI YURI ANCARANI, SEZIONE ORIZZONTI
LUCA MOSSOITALIA/VENEZIA

Daniele ha schiena piegata e la zappa in mano, ma la sua attenzione è altrove. Il vecchio gli spiega come sradicare le piante con un colpo secco, ma è come parlare al vento: basta il suono lontano ma inconfondibile del fuoribordo preparato per farlo voltare. L’unica cosa ora, è ammirare il barchino che ancheggia morbidamente lungo il canale, neanche fosse in passerella sul tappeto rosso di Venezia. Il timoniere guarda avanti, altero, ma c’è da scommetterci che ha notato Daniele sul bordo del campo. In Atlantide i corpi e le barche sono connessi allo stesso codice di seduzione: i ragazzi hanno un rapporto fisico con loro, e quando lasciano la fidanzata è il rituale della rimozione del nome dell’ex a sancire il cambio di stato. Sul barchino ci si muove, si dorme, si fa l’amore, ci si procura denaro. Soprattutto si gareggia. Su una bricola bella grossa vengono incisi i record di velocità: uno è riuscito a toccare 86Km/h, una velocità folle, raggiungibile solo grazie alla potenza dei motori elaborati e alle acque piatte della laguna. Per fare meglio, Daniele, ultima incarnazione del ribelle senza causa deaniano, è pronto a tutto. Yuri Ancarani mette il suo occhio visionario a disposizione di una storia semplice, dove i sentimenti sono elementari e facili da condividere, mentre a rimanere impressi sono gli spazi che circondano i personaggi, le cose che non si dicono, gli odori che si immaginano. Daniele parla con la fidanzata, ma è perso nei pensieri suoi e quando noi abbiamo quasi dimenticato che la sua elica è scheggiata, la questione torna di massimo interesse.
NEL TEMPO slabbrato di giornate sempre uguali, la narrazione è fatta di brandelli di storie, mentre è lo spazio a dettare ordine simbolico e gerarchie. I barchini sono un’anomalia, un’assurdità in quel paradosso naturale che è la laguna, punto di congiunzione di orizzonti terracquei e allo stesso tempo stesso luogo chiuso, circoscritto, teatro di giochi a formula fissa. I ragazzi che li guidano sono outsider, non c’entrano con nessun altro e non c’entrano nulla con Venezia. Il loro modo di dimostrare di essere vivi è girare la manopola del gas e fare urlare i motori.
QUANDO di notte percorrono i canali al minimo sono le luci emesse dal barchino che mutano il paesaggio, i palazzi diventano verde acido e blu elettrico, sembrano cambiare di forma. Per un momento cambiano di padrone. E nell’allegria di un incontro d’amore o nella malinconia della sconfitta, Venezia sembra appartenere a chi è da sempre escluso. È solo un momento, che però il cinema di Ancarani è capace di celebrare al meglio: la superficie sembra materia e la sconfitta appare gloriosa. Un film capace di sintonizzarsi con un’età e una condizione e di renderle universali, bello ed emozionante.

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