COMMENTO

Il tempo è scaduto ma non basta dire no al fossile

Oltre il Rapporto Ipcc
GIORGIO FERRARIITALIA

Ricordate lo slogan “siamo ancora in tempo” (un po’ ammonente, un po’ rassicurante) che imperversava tre anni fa sul disastro ecologico? Era poco più di un whishfull thinking (un pio desiderio).
Largamente basato sull’assunto, di fonte Ipcc, per cui se la temperatura media terrestre aumentasse più di 1,5- 2 °C saremmo stati prossimi a scenari da “fine di mondo”a causa dei cambiamenti irreversibili che questo aumento di temperatura avrebbe comportato. In realtà di cambiamenti irreversibili ne abbiamo parecchi sotto i nostri occhi e l’ultimo rapporto Onu-Ipcc, ammettendo che l’innalzamento del livello dei mari è ormai da considerarsi irreversibile, svolge una funzione suo malgrado fuorviante. Il perché è presto detto: innanzitutto pretendere di misurare la “febbre” al pianeta, ovvero stabilire che esista (e si possa misurare) una temperatura media per tutta la terra è una cosa già discutibile, figuriamoci un incremento medio di 1,5 -2°C al quale si attribuisce, oltretutto, il valore di soglia limite. Questo limite infatti è stato largamente superato e da tempo, in molte zone del pianeta, collocate soprattutto nell’emisfero nord che registra fenomeni apparentemente inspiegabili (40 °C in Alaska; temperature elevate e incendi in Siberia; etc) a meno di collocarli nella corretta (sebbene ancora approssimativa) catena degli eventi che sovrintende al funzionamento della biosfera. Un recente rapporto della Nasa e del Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) dove l’esame dei dati satellitari incrociati con quelli della rete marittima Argo (oltre 3800 boe di rilevamento marine che misurano temperatura, acidità e salinità degli oceani), dimostra, con una forte coincidenza, che tra il 2005 e il 2019 l’accumulo di calore all’interno della biosfera è raddoppiato. Questo parametro è assai più significativo di quello della temperatura media del globo perché ci dice che il processo per cui l’Ipcc lancia l’allarme, in effetti, è già iniziato da tempo. I coefficienti di assorbimento rilevati infatti, dimostrano che il sistema terrestre non riesce più a riflettere il calore che riceve dall’esterno e gli effetti secondari indotti (diminuzione dell’albedo, acidificazione e riscaldamento dei mari, etc) sono autoesaltanti per cui la situazione, anche nell’ipotesi di una diminuzione significativa delle emissioni, non potrà che peggiorare. Inoltre occorre tener conto che l’inerzia termica della nostra terra è enorme e per smaltire il calore accumulato ci vorranno (come è avvenuto 130.000 anni fa) migliaia di anni. Il tempo è già scaduto dunque, perlomeno il “tempo” con cui si è soliti ragionare in questa società (spasmodica, veloce e concentrata) perché altri sono i tempi della natura; e non si fa – a mio giudizio – una buona opera di informazione e persuasione concentrandosi esclusivamente sull’abbandono dei combustibili fossili senza mettere in conto un cambiamento consistente nella quantità e qualità delle merci prodotte.
Il modello “tutto elettrico” che si intravede nelle pieghe di questo new green deal mira solo a rilanciare l’accumulazione capitalistica su vasta scala e non tiene affatto conto della contraddizione principale che sta alla base di questi scenari, e cioè che non si ha transizione ecologica se insieme al modo di sfruttamento dell’energia, non si cambia anche il modo di produzione capitalistico.
Mi sembra di vederli i Cingolani di questo mondo, fregarsi le mani nell’udire slogan tipo “fuori dal fossile” perché, in assenza di altre rivendicazioni rivolte ad abbattere produzione e consumi, sarà giocoforza accettare il nucleare. Altrimenti come si riscalderà e come cucinerà la gente, senza il metano? Se la risposta è con l’elettricità, allora l’apporto delle rinnovabili non basta se non si abbattono gli altri consumi, e il ricorso al nucleare come “male minore” diventa scontato.

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