VISIONI

Stile corpi e desiderio, la Settimana della Critica

PRESENTATA LA 36ESIMA EDIZIONE
LUIGI ABIUSIITALIA/VENEZIA

Mai come ora l’annuncio dei palinsesti dei festival cinematografici, delle varie sezioni, dei meandri ora vibranti ora invece un po’ paludati delle selezioni, suona come la speranza di un ritorno definitivo ai luoghi cinematografici in questo interregno di vaccini e contagi che è ora la vita, con in più l’ostruzionismo falsamente libertario e in realtà gretto, oscurantista, Gadda direbbe «fessissimo» dei no-vax. Ritorno a possederne gli spazi, da quei santuari della visione che sono le sale, perché il film non è sullo schermo, non è solo lì che si dispiega nel suo corso, ma si fa nello spazio adibito alla visione, nella sua atmosfera dettata da condizioni di luce, di suono, proprio di déco. Nel caso della Settimana Internazionale della Critica il cui programma di quest’anno è stato presentato ieri, è la Sala Perla, dove, chi ha un po’ di dimistichezza con la Mostra di Venezia, sa che alle 14 in punto può affacciarsi su un palinsesto cinematografico di solito sfaccettato, vario di cui hanno fatto parte negli anni film come Fandango, Désordre, Gummo ecc.. Se lo spazio, reale, anzi, direi piuttosto materiale, è questo, c’è bisogno di un contrappunto altrettanto sostanziale a favorire questo ritorno alla presenza e alle presenze che baluginano sullo schermo: i corpi; la proiezione dei corpi che copulino con gli occhi, con chi guarda, perché cos’è il cinema se non questa unione tra schermo e platea, tra il vedente e il visibile, tra lo sguardo e i fantasmi carnei che si consumano nel quadro? Beatrice Fiorentino, delegata generale della SIC, insieme agli altri membri del comitato di selezione, sembra averceli messi i corpi nonostante tra i film iscritti al concorso – mi confidava – fossero davvero pochi quelli concentrati su questa dimensione essenziale, come se anche gli autori in questi due anni di contenzione si fossero assuefati alla virtualità.
E ALLORA, in questo senso, spicca nel programma il melò A Salamandra del brasiliano Alex Carvalho – intessuto di struggimenti, corpi, inconsulto desiderio di vita – così come l’evento speciale in chiusura La Dernière Séance di Gianluca Matarrese, solo apparentemente un film sul bondage e se mai una riflessione intimistica sul senso della malattia, dell’amore, del sopravvivere, del sopravvivere all’amore.
MA A PRESCINDERE da questa filigrana corporale, una certa aspettativa c’è nei confronti di Mondocane di Alessandro Celli, con protagonista Alessandro Borghi: film di genere, che attinge anche al b-movie e lo cala in una Taranto futuristica, violenta, specie di città fantasma delimitata dal filo spinato, preclusa persino alla polizia. E poi lo spagnolo Eles transportan a morte di Helena Girón e Samuel L. Delgado e Mother Lode di Matteo Tortone (una produzione internazionale, come gran parte dei film in cartellone) che promettono svisamenti, primizie formali (tra i cortometraggi cito almeno L’ultimo spegne la luce di Tommaso Santambrogio che qualche anno fa aveva presentato a SIC@SIC il bellissimo Los oceanos son los verdaderos continentes ed Eva di Rossella Inglese) cosa che, dico l’aspetto linguistico (si potrebbe dire: la carne della lingua), sembra essere il segno distintivo di questa selezione-della-resurrezione.

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