VISIONI

La regina dei rom, l’incanto di una voce oltre ogni frontiera

I successi nella Jugoslavia di Tito, la lotta contro il razzismo e i tour mondiali
MARCELLO LORRAImacedonia

Nel quadro della fisionomia federale, multietnica e non confessionale assunta dalla Jugoslavia di Tito, alla popolazione rom fu riconosciuto lo statuto ufficiale di minoranza, e il governo promosse la loro lingua e la loro cultura. Non che fossero tutte rose e fiori, perché il razzismo non si abolisce per decreto e non mancò di manifestarsi non solo nella società ma anche a livelli istituzionali e politici, ma nella Jugoslavia socialista, rassicurati dalla legittimazione dall’alto, gli artisti rom si trovarono incoraggiati alla creazione di una cultura musicale urbana, moderna, aperta, combinando le proprie tradizioni con influenze del folclore slavo, della musica turca, del pop-rock inglese e americano, e - non ultimo fra gli elementi che nutrirono questa produzione – con la suggestione delle colonne sonore dei film musicali di Bollywood: di mezzo non c’era solo la sintonia che i rom avvertivano per la musica di un paese lontano in cui il loro popolo affondava le sue radici più profonde, c’era anche la popolarità di film che potevano essere importati a basso costo nell’ambito dei rapporti che la Jugoslavia di Tito e l’India di Nehru intrattenevano come membri di primo piano del movimento dei paesi non allineati che aveva cominciato a prendere forma a partire dalla conferenza di Bandung nel ’55.
MENTRE si manifestava questa effervescenza musicale, per i rom, data la loro reputazione di eccellenti musicisti, c’era anche spazio nelle file delle altre orchestre folk, ma la cooptazione si fermava al livello degli strumentisti: negli anni cinquanta non si era ancora mai visto che un complesso musicale non rom avesse come cantante solista qualcuno che fosse notoriamente rom, e meno che mai si era visto che cantasse in lingua romani. Poi arrivò Esma Redzepova: dagli anni cinquanta la carriera di Esma, figura da molti punti di vista leggendaria, assurta a «regina dei rom», è continuata con successo fino alla sua morte, nel 2016, e adesso My Last Song, un album intestato alla Redzepova e ai Nune Brothers e pubblicato dalla etichetta Arc, ci offre gli ultimi brani incisi dalla cantante, poco prima della sua scomparsa.
Esma Redzepova era nata nel 1943 a Skopjie, in Macedonia, che alla fine della guerra sarebbe diventata una delle repubbliche dello stato federale jugoslavo. Nelle sue ascendenze familiari c’erano cattolici, ebrei e musulmani. Il padre era rimasto mutilato durante i bombardamenti tedeschi, e si arrangiava con vari lavori, fra cui l’artista circense e il batterista. Esma fin da bambina aveva mostrato una vivace inclinazione per il canto e la danza, ma la sua era una famiglia che condivideva una cultura rom piuttosto severa, che non prevedeva affatto che una figlia cantasse in pubblico, tanto meno nei locali spesso di dubbia virtù di Skopjie. I genitori avevano per lei altri progetti: a tredici anni le combinarono un matrimonio, ma lei reagì con un tentativo di suicidio.
NEL ’56 POI di nascosto dai suoi Esma andò a partecipare ad un concorso a Radio Skopjie: ebbe l’audacia di cantare una canzone tradizionale rom, Abre Babi, So Kerdzan?, in cui una giovane piange per il matrimonio a cui è stata costretta dal padre. Era solo una ragazzina, per di più di una minoranza non troppo accettata come quella rom, cantava una canzone su un tema piuttosto scabroso, e soprattutto era la prima volta che Radio Skopjie trasmetteva un brano in lingua romani: clamorosamente vinse.
Fra il pubblico c’era Stevo Teodosievski, un giovane fisarmonicista leader di un complesso folk di successo a Skopjie, che, appassionato di musica rom, era convinto – intuizione quanto mai profetica - che la musica rom poteva conquistare anche i non rom. Molto colpito dalla performance di Esma, chiese a Medo Cun, un clarinettista rom vicino di casa di Esma, di presentargliela (Medo negli anni sessanta avrebbe poi brillato come solista della formazione di Teodosievski). Stevo si rivolse ai genitori di Esma e li convinse a lasciare che la loro figlia diventasse la cantante del suo gruppo. Poi la fece iscrivere all’accademia musicale di Belgrado, dove Esma studiò due anni. Quindi Esma iniziò ad esibirsi come cantante della formazione di Teodosievski: con lei come voce il successo del complesso crebbe ulteriormente e uscì dall’ambito locale. Nel ’61, a Zagabria, Esma incise il suo primo disco: su una facciata, la canzone che aveva cantato a Radio Skopjie, che diventò un grande successo. Ascoltandola (la si trova nella splendida raccolta, pubblicata nel 2013 dalla etichetta tedesca Asphalt Tango, Stand Up, People. Gypsy Pop Songs from Tito’s Yugoslavia 1964-1980), non si stenta a capire perché Esma Redzepova avesse vinto quel concorso: una voce giovane, sensuale, di carattere, che tiene col fiato sospeso.
NEL ’68 ESMA E STEVO si sposarono: malgrado il successo la loro relazione mista suscitò pettegolezzi e ostilità tanto da parte rom che macedone (compresa la Lega dei Comunisti di Macedonia, di cui peraltro Teodosievski era membro). Esma e Tedosievski fronteggiarono tutto alla grande: già nei primi anni sessanta cercarono un ambiente più aperto trasferendosi a Belgrado (alla fine degli anni ottanta tornarono a Skopjie); andarono in tournée in mezzo mondo (e più volte in India); rimasero insieme fino alla morte di lui nel ’97, senza avere figli ma adottandone cinque e provvedendo all’alloggio e agli studi di quarantadue altri bambini.
Negli ultimi vent’anni della sua carriera Esma ha proseguito con una idea non passatista della musica rom, senza badare alle critiche tanto dei rom tradizionalisti che dei puristi della world music; il suo vecchio hit Chaje Shukarije è entrato (a sua insaputa, e poi con sua contrarietà) nella colonna sonora del film Borat; e Esma ha continuato ad aiutare gli altri: per esempio i rifugiati dal conflitto in Kosovo. L’eredità dell’Ansambl Teodosievski viene portata avanti dai figli: Simeon Atanasov, uno dei quarantadue bambini, è il leader dell’ex gruppo di Esma, che ha come solista Eleonora Mustafovska, l’unica femmina dei cinque figli adottivi, e indirizzata al canto dalla madre: li si può ascoltare in un altro album da poco pubblicato dalla Arc, Esma’s Band Next Generation, Gipsy Dance.

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