VISIONI

Lenz, fare teatro come ricerca continua sui motivi dell’umano

Kleist, Hölderlin, il lavoro con gli attori sensibili, i laboratori di formazione
LUCREZIA ERCOLANIITALIA/parma

Il nome del drammaturgo settecentesco Jakob Michael Reinhold Lenz può risultare a molti poco familiare. Frequentatore delle lezioni di Kant a Königsberg, presto abbandonate per diventare un seguace di Goethe, Lenz è ricordato soprattutto per il periodo della follia narrato nell’omonima novella di Büchner. Eppure, lontano sia dalla sua patria Russia che dall’adottiva Germania, c’è chi ne ha raccolto l’eredità, rendendo la sua figura il nume tutelare di un progetto culturale articolato. A Parma Lenz significa infatti una compagnia, un teatro, un percorso di formazione, un festival e recentemente anche una fondazione.
«ABBIAMO iniziato nel 1985 col teatro da camera, in un appartamento. Secondo quella che è una nostra caratteristica, non proponevamo solo rappresentazioni ma anche mostre e rassegne cinematografiche» racconta Francesco Pititto, co-fondatore insieme a Maria Federica Maestri. Il primo testo messo in scena fu proprio Lenz di Büchner, una sorta di manifesto, perché «questo lavoro conteneva in nuce tutti i nostri temi: la follia, l’alterità, l’immagine, l’azione dal vivo molto formalizzata».
Agli inizi la formazione ha faticato non poco per affermarsi, come racconta Maestri: «Esistere in una città già ricca di istituzioni teatrali non è stato semplice, negli anni ’90 la nostra condizione è stata piuttosto conflittuale. In mezzo a grandi poteri, quella che non si voleva neanche definire una compagnia ma una realtà di formazione plurale, ha dovuto fare grandi battaglie». Stabilirsi in uno spazio fisico divenne una priorità e nel 1989 nacque Lenz Teatro. Tuttora sede delle attività, si trova nella prima cintura ex-industriale di Parma: «In quella zona c’erano la Bormioli e tante altre fabbriche al centro delle lotte operaie. L’edificio ospitava un’industria conserviera, rimasta abbandonata dalla fine degli anni ’70. C’erano queste due grandi sale che erano perfette per noi, una l’abbiamo subito chiamata Sala Majakovskij. Abbiamo ri-funzionalizzato lo spazio con l’idea di continuare a svolgerci del lavoro così come in origine, per renderlo nuovamente un luogo produttivo per la città» ricorda Pititto.
Ritrovarsi in un porto sicuro è stato un passo importante per lo sviluppo di quelli che sarebbero diventati i caposaldi della ricerca artistica. Innanzitutto, il «lusso» e il «rischio» di concentrarsi per più anni sullo stesso autore, affrontandolo da molteplici prospettive. Nascono così i progetti Majakovskij, Dostoevskij, Kleist, Shakespeare, Faust, Hölderlin - quest’ultimo, tra il ’91 e il ’94, con tre versioni di La morte di Empedocle e la partecipazione di Bruno Ganz e Edith Clever.
IL TEATRO di Lenz si è andato così ad affermare come ricerca e interrogazione filosofica sull’umano, un’impronta che trova un risvolto nell’attività di formazione. La pratica laboratoriale ha conosciuto infatti uno scarto nel 1998, con l’inizio del percorso con gli attori e le attrici sensibili. «Abbiamo rinunciato da tanti anni a chiamarli disabili. Abbiamo coniato attori sensibili, ma per noi sono attori punto e basta. Anzi secondo me sono loro i veri attori, quelli che in questa epoca possono dire un testo non fingendo, con grande sensibilità» spiega Pititto a proposito di questa linea di ricerca che, oltre ad essere virtuosa a livello umano, è stata portata avanti con rigore sul piano artistico nel momento in cui gli attori e le attrici sensibili hanno iniziato a far parte a pieno titolo degli spettacoli di Lenz.
Un percorso che ha preso poi forma nel laboratorio in collaborazione con l’Ausl di Parma rivolto agli utenti del Dipartimento di Salute Mentale. Maestri ricorda come è iniziata: «Stavo lavorando su Shakespeare, la vulnerabilità e il senso del tragico, quando sono rimasta ’fulminata’ da qualcosa che non avevo mai visto, un potenziale straordinario che si chiamava Barbara Voghera. Era un mondo che non conoscevo, lingue che non sapevo parlare. L’importante è non utilizzare mai il fenomeno, l’abnorme deve essere protetto e l’unica protezione è la lingua».
UN RICONOSCIMENTO importante per questo percorso arriverà la prossima settimana, quando proprio Voghera interpreterà alla Biennale Teatro il monologo Altro Stato da Calderón de la Barca, autore già frequentato in passato. Anche questo spettacolo fa parte di un progetto pluriennale che ha visto come ultima produzione l’allestimento de La vita è sogno presso l’abbazia di Valserena nell’ambito di Parma capitale della cultura 2020+21 e del festival targato Lenz chiamato Natura Dèi Teatri, nato nel 1996 «come un dialogo con gli artisti che sentivamo vicini in un contesto naturale, in un raccordo holderliniano tra natura, pulsazione artistica e divinità».
L’abbazia si è fatta teatro di un grande site-specific o mise-en-site, pratica che la compagnia ha esplorato sin dagli inizi e integrato sempre più nella partitura drammaturgica. Nelle parole di Maestri troviamo la spinta per i lavori futuri: «La materia silenziosa, il corpo plastico che tace come uno spirito divino, mi spinge ancora a produrre. Tutte le istallazioni per me sono il punto di partenza e il punto d’arrivo». Considerata la forte attenzione che il gruppo ha sempre riservato all’ambito visuale, la ricerca di Lenz è come una crasi, dove i motivi di sempre si fondono con i nuovi in un’interrogazione costante, dal volto tenacemente umano.

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