VISIONI

Arto Lindsay e le notti dantesche di Carmelo Bene

IL MUSICISTA IN CONCERTO A ROMA INCONTRA IL MONDO
VALERIO CORZANIITALIA/ROMA

Nella notte del 31 Luglio 1981, una notte che si affaccia già sul 1 Agosto, Carmelo Bene recita la Lectura Dantis, pubblica declamazione di Dante Alighieri dal terrazzo che si trova alla base della torre degli Asinelli, davanti a una grande folla assiepata lungo tutta via Rizzoli . L’occasione è il primo anniversario della strage alla stazione, celebrato con quattro giorni di manifestazioni e convegni. Un evento epocale, una celebrazione per una volta davvero in tono: Carmelo Bene aveva scelto Dante per interrogare e riaffermare le ragioni dell’umano di fronte all’orrore indicibile della bomba alla stazione. «C’ero anch’io tra il pubblico in quella notte di luglio – ha dichiarato Arto Lindsay, all’epoca esponente di punta dei DNA - Il rumore della folla era alto quasi quanto la voce di Bene che leggeva il miglior libro scritto dagli uomini, come Jorge Luís Borges aveva chiamato La Commedia». A quarant’anni esatti da quei giorni Lindsay è tornato in Italia alla guida di un sestetto che rievoca l’evento e insieme celebra Alighieri. Noi abbiamo incontrato questa carovana poetica nella tappa romana a Villa Ada, inserita nel cartellone di Roma Incontra il Mondo e organizzata dalla IUC. «Vortice» è la parola chiave dello spettacolo: vortice di sentimenti, di citazioni, di rumori, di suoni e di parole. Carmelo Bene si insinua negli arazzi congegnati dal bassista Melvin Gibbs, che rappresenta l’ala newyorkese del combo anche dal punto di vista musicale, con i suoi nuvoloni gonfi di suoni cupi e funk plumbeo. Ulisse, Gli Angeli Guardiani, Beatrice, Paolo e Francesca, sono gli stralci scelti da Arto Lindsay che accoglie la voce dell’attore salentino con le sforbiciate rumoristiche della sua chitarra.
UN UNCINO deflagrante che Lindsay oramai da tempo presta sia alle partiture più informali, sia ai momenti di quiete e di lirismo. Il suo chitarrismo fatto di puro rumore si posa ad esempio anche nel dolce dondolio di Folle Volo, canzone improvvisata con parole chiave della Commedia, nella quale duetta con il violoncello di Redi Hasa, un violoncello imbracciato a mò di chitarra acustica ad imitare la grana timbrica di una bossanova. Le voci in campo invece sono tre, tutte molto diverse tra loro, tutte sintonizzate, pronte a detergere un palinsesto che da Villa Ada, ma anche dalla Torre degli Asinelli e perfino dai meandri del libro di Dante, guarda davvero al mondo.
C’è la voce di Arto Lindsay, con quel tono esile e ammaliante che si accoppia meravigliosamente alla lama tagliente della sua chitarra. C’è quella di Rachele Andrioli, seconda salentina dell’ensemble, di Hasa e la presenza fantasmatica del salentino Carmelo Bene): una voce cruda e ferrosa, che canta la Luna otrantina e spesso imbraccia il tambureddu per ribadire le proprie escursioni. C’è infine la voce di Roopa Mahadevan, nata e cresciuta a San José in California, ma fortemente temprata dallo studio e dall’immersione nella granitica tradizione carnatica, con i suoi abissi modali e le sue onomatopee scat. Il pannello di colori è dunque davvero fluorescente, perfino pericoloso perché non sempre la varietà della tavolozza si presta ad essere riportata ad una sintesi omogenea. Eppure Lindsay, che dà l’impressione di divertirsi un mondo in questo esercizio sul palco, ci riesce.

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