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La poco magnifica ossessione contro Report

Ri-mediamo
VINCENZO VITAITALIA

La coraggiosa trasmissione della Rai – Report- che ficca il naso nei labirinti dei poteri è ormai costantemente sotto attacco. Lasciamo stare la pervicace polemica persino un po’ grottesca condotta da qualche esponente politico, ma qui siamo in un sottogenere letterario, per riprendere la questione più recente. Vale a dire la sentenza del tribunale amministrativo del Lazio (sezione terza) emessa lo scorso 18 giugno, che ha accolto un ricorso proprio contro Report.
Se n’è parlato in questi giorni con giuste preoccupazioni espresse dalla federazione della stampa, dal sindacato dei giornalisti della Rai, dall’ordine dei giornalisti e da numerose personalità o associazioni come Articolo21. E nel pomeriggio di oggi è prevista una conferenza stampa presso la redazione del programma.
La Rai ha annunciato il ricorso al consiglio di stato, con possibilità di uscirne positivamente. Tuttavia, è bene incorniciare la decisione del Tar, perché nel suo articolato vi è un precedente davvero pericoloso.
Chissà come mai da un così autorevole consesso non è stata considerata la questione che sta in premessa di ogni discorso di merito. L’articolo 21 della Costituzione tutela esplicitamente il diritto della e nell’informazione. Così come il segreto professionale è alla base della professione giornalistica.
Nell’accettare le istanze di un avvocato (Andrea Mascetti) volte a richiedere l’insieme dei materiali che lo riguardavano utilizzati nella puntata del 26 ottobre dell’anno passato, si crea un vulnus. Com’è noto, generalmente chi fa cronaca e tocca argomenti delicati si limita ad utilizzare solo ciò che è di stretto interesse per il racconto, per non esporre nessuno. Diversamente, cesserebbero le disponibilità a rivelare elementi spesso decisivi per la conoscenza di fatti occultati o distorti dal mainstream prevalente.
Non solo. Ci si riferisce alla legge n.241 del 1990, volta a rendere possibile ai cittadini di acquisire atti e procedimenti della pubblica amministrazione. Fu una legge importante, che almeno in parte fornì qualche opportunità alle persone di venire a sapere perché una pratica si blocca o una richiesta non viene accolta.
Piccolo particolare. La Rai è una società di diritto privato (S.p.A), ancorché incaricata di un servizio pubblico. Vi è, al riguardo, una consolidata e costante giurisprudenza. Dunque, l’azienda radiotelevisiva non è assimilabile ad un ministero, ad un comune o a una regione. Per esempio.
Insomma, la sentenza del Tar del Lazio rischia di avere conseguenze persino più vaste dell’oggetto stesso cui si riferisce. Sembra (al di là delle intenzioni soggettive, ma il diritto è una pura astrazione, non una poesia) che sia in atto una sorta di offensiva per reprimere o limitare il diritto di cronaca. Quest’ultimo è già sotto tiro per il ricorso abnorme alle querele temerarie, per l’ossessivo aumento del precariato e dello schiavismo, per il pensiero unico che percorre il settore.
Approfondimenti e inchieste sul campo escono dall’ordine costituito, dalle retoriche di un nuovo regime in fieri. In un quadro in cui gli istituti democratici paiono vacillare e restringersi, in un accentramento evidente delle decisioni, Report esce dalla sintassi dei discorsi correnti. Increspa le narrazioni di comodo, urla costantemente che il Re è nudo, sovverte lo schema odierno del potere costruito sulla sovrapposizione impropria tra comunicazione e politica. Autonomia e indipendenza dell’informazione sono considerate un retaggio noioso del novecento, un accidente che la velocità digitale del comando non vuole sopportare.
Una sentenza è solo una sentenza, verrebbe da aggiungere. Ma qualche volta un episodio precorre i tempi o, meglio, li disvela brutalmente.
Difendere Report non è una sequenza di un movimentismo ingiallito, bensì una sequenza di un’iniziativa di stringente attualità. Infatti, la morsa che vede incrociarsi tecnocrazie e populismi porta con sé un sistema mediatico e post-mediatico costruito sulla dittatura dell’istantaneità dei social mischiata ai silenzi dolosi.
Per questo, è moralmente imprescindibile una risposta all’altezza.

 

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