CULTURA

La resistenza soft dei contadini

SILVIA CALAMANDREIcina

Il libro di Silvia Picchiarelli, La resistenza contadina nella Cina dei primi anni Cinquanta (uscito per la collana «Studi Orientali», Libreriauniversitaria.it, pp. 288, euro 26,90) rappresenta una novità negli studi italiani sulla Cina contemporanea: una ricerca condotta sulle fonti, negli archivi locali della provincia dello Shanxi, sui primordi del movimento di cooperativizzazione agricola dopo la riforma agraria attuata in seguito alla Liberazione del 1949.
È un contributo originale che getta luce su un periodo poco indagato e individua forme di resistenza al Sistema unificato di acquisto e vendita, che avvia nel 1953 la trasformazione socialista dell’agricoltura stabilendo il monopolio sul commercio dei principali prodotti agricoli. La leva che in ogni accumulazione originaria ha consentito il prelievo ai danni dei contadini per avviare l’industrializzazione.
RIVOLUZIONE CONTADINA per eccellenza, quella cinese, nella vulgata, che Picchiarelli ricostruisce nel primo capitolo partendo dal ruolo assegnato ai contadini nella strategia di Mao sin dagli anni Venti con la sua inchiesta nello Hunan. Utile inquadramento, che sottolinea anche l’originalità della strategia maoista di accerchiamento delle città da parte delle campagne, ed il rilievo dato alla tematica della ribellione contadina nella lunga storia imperiale da parte della storiografia cinese.
Oggetto della sua tesi di dottorato, coordinata da Marina Miranda, Picchiarelli ha potuto ampliare la sua ricerca grazie a un momento fortunato di accessibilità degli archivi, soprattutto a livello locale (sottoprefettura e villaggio), stabilendo utili contatti con studiosi cinesi della tematica. Il Covid l’ha purtroppo costretta a interrompere una ricerca promettente, con una borsa di studio postdoc a Shanghai, che c’è da augurarsi possa riprendere alle fonti, la cui consultazione si è fatta più difficile a causa di recenti disposizioni limitative.
Ma già i primi risultati esposti nel volume sono di estremo interesse, e di valenza internazionale, trattandosi di un periodo scarsamente studiato e di messa a fuoco di forme di resistenza «quotidiana», ispirandosi alla metodologia di James Scott (Weapons of the Weak 1985).
NELLA CINA POST-MAOISTA l’età dell’oro del primo decennio dopo la Liberazione è diventata possibile punto di riferimento, mettendo tra parentesi gli eccessi e gli errori successivi al 1956 e conservando il Mao autore della indipendenza nazionale, della riforma agraria e della alleanza di «nuova democrazia»: quello zoccolo duro su cui il Partito comunista cinese fonda la sua legittimità di governo.
Il capitolo secondo del volume è tutto incentrato sulla fase di Nuova democrazia, la cui ricostruzione idilliaca è stata già messa in discussione da Frank Dikötter (The Tragedy of Liberation 2013) e da alcuni autori cinesi.
Secondo Dikötter la riforma agraria avrebbe portato alla liquidazione fisica di più di tre milioni di proprietari terrieri, spesso contadini medi o ricchi denunciati come grandi latifondisti, al fine di scompaginare le élite tradizionali nei villaggi e cooptare nuovi beneficiari della redistribuzione delle terre e del potere. Insomma niente di dissimile dalla dekulakizzazione staliniana, smentendo la tesi diffusa che contrappone all’approccio radicale bolscevico le radici agrarie della rivoluzione cinese e la sintonia maoista col mondo contadino.
LA DISTRUZIONE del tessuto agricolo tradizionale è stato evidenziata anche da Zheng Shiping, protagonista tra i tanti delle giornate di Tien An’men, e poi lungamente in carcere, autore di una serie di saggi tradotti in inglese da Andrew Clark e pubblicati dalla Ragged Banner Press. Con lo pseudonimo di Ye Fu (Uomo selvatico) l’autore insegue le labili tracce del nonno paterno, suicidatosi nel 1951, all’epoca della riforma agraria, scrivendo Requiem per un proprietario fondiario, Cronaca della riforma agraria e della distruzione di una famiglia.
LA MEMORIA di questo nonno, patriarca del clan in un villaggio collinare del Sud della Cina, era andata completamente dispersa, anche perché i familiari pagarono cara la classificazione in «proprietari fondiari» per origine, diventando bersaglio di ogni campagna di ricerca di possibili controrivoluzionari o elementi di destra.
È stato ora il nipote a ricostruire le vicende del clan ancestrale, elevando una elegia alla cultura armoniosa tradizionale che avrebbe imperato nel Sud della Cina prima che quel tessuto venisse sconvolto dalla guerra, dalla guerra civile e dalle squadre inviate nei villaggi a individuare i bersagli da colpire. Distruggendo le élite tradizionali locali e promuovendo i propri fedelissimi, il nuovo regime si sarebbe assicurato stabilità e controllo, marchiando di infamia una serie di categorie «nere» classificate in base all’origine familiare ed inaugurando una Educazione alla crudeltà di cui l’autore ha fatto personale esperienza.
ANCHE LA SCRITTRICE Fang Fang, divenuta ora famosa a livello globale con i suoi Diari della pandemia a Wuhan, ha osato sfiorare il tabù degli anni Cinquanta col romanzo Sepoltura soffice (2016), incorrendo nella censura.
Una donna salvata dalle acque nei primi anni Cinquanta, segnata da un’amnesia post-traumatica per tutta la vita, è il personaggio cardine attorno alla quale ruota la vicenda, intrisa di mistero. Nella Cina del nuovo millennio che si è arricchita e che ha visto riemergere strati privilegiati e consumi di lusso c’è stata una riscoperta dei valori del passato che venivano custoditi dai clan aristocratici nelle loro dimore raffinate, arredate da preziosi dipinti, porcellane e arazzi in un labirintico susseguirsi di cortili e padiglioni riservati alle tante spose e concubine.
Ci sono architetti che ne ristudiano lo stile e speculatori immobiliari che vogliono restaurarle esplorando aree della Cina profonda tra montagne e foreste. Il figlio della donna smemorata protagonista partecipa a una di queste spedizioni e trova le tracce che consentirebbero di ricostruire vicende drammatiche e dolorose. Un’intera famiglia di proprietari terrieri andata incontro alla morte volontaria e a una frettolosa sepoltura pur di evitare l’onta e le sevizie di un processo popolare preliminare alla distribuzione delle terre e dei beni tra i contadini poveri. Quei processi di massa organizzati dai quadri comunisti nelle campagne per segnare il passaggio di potere e consolidare nuovi gruppi dirigenti locali, smantellando i clan agrari, che c’erano stati descritti con tanta efficacia documentaria da William Hinton in Fanshen (1966, Einaudi 1969), un classico della letteratura di epoca maoista.
LA RICERCA di Silvia Picchiarelli è spostata più avanti, dopo l’attuazione della riforma agraria e alla vigilia dell’accelerazione verso le cooperative agricole. È incentrata su documenti amministrativi, meno sensibili, ma che consentono di ricostruire forme di resistenza soft da parte contadina al prelievo a loro danno.
Un tassello di un processo complesso che una ricercatrice italiana è riuscita a evidenziare e a mettere a disposizione di altri studiosi, corredato da una ampia bibliografia, con dettagliata descrizione delle fonti archivistiche, e di un prezioso glossario.
Una serie di interrogativi posti nelle conclusioni, aperte a ulteriori indagini e verifiche, ci fa condividere l’auspicio espresso da Marina Miranda nella prefazione che l’itinerario di ricerca dell’autrice possa riprendere.

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