COMMENTO

Non fu un «pranzo di gala»

La Repubblica nata dalla Resistenza - 1946-2021
DAVIDE CONTIITALIA

La nascita nel 1946 della Repubblica, l’elezione dell’Assemblea Costituente con il suffragio universale effettivo (con il diritto delle donne di candidarsi e votare) e la scrittura della Costituzione italiana non furono un «pranzo di gala».
Ma fu il precipitato storico di una fase drammatica e decisiva della storia d’Italia iniziata con il crollo del fascismo (dopo venti anni di dittatura politica, razziale e di classe) seguita dal collasso dello Stato monarchico (dopo tre anni di guerra mondiale a fianco dei nazisti) continuata con la Resistenza e conclusa con la Liberazione.
Il portato valoriale delle tre guerre combattute dalla Resistenza (Liberazione Nazionale; guerra civile e guerra di classe) trovò forma e sostanza nella Costituzione, configurando la Repubblica come libera e indipendente; antifascista e democratica; informata alla giustizia sociale. La «quarta guerra», quella delle donne, determinò l’assetto compiuto del nostro patto di cittadinanza con il riconoscimento della parità e dell’identità di genere.
NEMMENO la Repubblica e la Costituzione furono un approdo definitivo, esse si misurarono con un quadro della politica interna e internazionale gravido di conflitti, tensioni e spinte contrapposte sui fronti continuità/discontinuità dello Stato e rinnovamento/conservazione degli assetti di potere storicamente dati.
Così la lotta per la difesa della Repubblica e per l’applicazione della Carta divennero il fondamento dell’istanza di progresso contro i tentativi eversivi emersi all’inizio degli anni Sessanta con il governo Tambroni ed il Piano Solo e poi deflagrati con la stagione del terrorismo stragista da Piazza Fontana agli attentati alla stazione di Bologna e del treno Rapido 904. In mezzo, proprio grazie al dettato costituzionale, grandi mobilitazioni di massa determinarono altrettanto grandi conquiste sociali e civili dallo Statuto dei lavoratori al divorzio, dalla riforma del diritto di famiglia al servizio sanitario nazionale. Una connessione diretta tra eredità dell’antifascismo e modificazione dei rapporti sociali nell’Italia del trentennio post-bellico.
75 anni dopo l’Italia repubblicana contemporanea, fuori dalle retoriche celebrative dell’occasione, sembra «abitata» e stretta in una morsa dagli istinti regressivi di un ceto medio colpito dalla crisi e dagli «spiriti animali» di un capitalismo tanto predatorio quanto «straccione» di quelle classi dirigenti-proprietarie che hanno vissuto da estranee l’approdo alla democrazia costituzionale e conflittuale espressa dalla forma assunta dallo Stato tra il 1946 ed il 1948.
SONO IL NESSO inscindibile antifascismo-Repubblica-Costituzione e l’orizzonte di senso che esso ha disegnato nella storia d’Italia a rappresentare oggi, il vero convitato di pietra del discorso pubblico declinato sugli obiettivi della prossima «ripresa», o per meglio dire «ristrutturazione», che deriverà dal Piano dei fondi europei del Next Generation Eu paragonabile, se non superiore per estensione e quantità, al Piano Marshall del dopoguerra.
Tanto più sembra delinearsi l’indirizzo neoliberale di quel piano, gestito dalle stesse classi dirigenti europee promotrici dell’austerity come soluzione delle profonde crisi economico-finanziarie globali pre-pandemiche, tanto meno compatibili ed eterodossi con la «democrazia di mercato» sembrano i principi ideali e materiali (segnati da un moto della storia e un «fatto d’armi» come fu la Resistenza) che condussero madri e padri fondatori della Repubblica a volgere lo sguardo al futuro del Paese.
«NON TACIAMOLO - disse il 22 dicembre 1947 nel suo discorso di chiusura il Presidente Umberto Terracini - molta parte del popolo italiano avrebbe voluto dall’Assemblea costituente qualcos’altro ancora. I più miseri, coloro che conoscono la vana attesa estenuante di un lavoro; coloro che, avendo lavorato per un’intera vita, ancora inutilmente aspettano una modesta garanzia contro il bisogno; coloro che frustano i loro giorni in una fatica senza prospettiva. Essi si attendevano tutti che l’Assemblea esaudisse le loro ardenti aspirazioni, memori come erano di parole proclamate e riecheggiate. Ma noi sappiamo di avere posto, nella Costituzione, altre parole che impegnano inderogabilmente la Repubblica a non ignorare più quelle attese».
È SU QUESTO bivio tra continuità liberista e discontinuità progressista che si decidono gli anni futuri della nostra giovane Repubblica.
Con il pensiero rivolto «alla memoria di quelli che, cadendo nella lotta contro il fascismo e contro i tedeschi, pagarono per tutto il popolo italiano il tragico e generoso prezzo di sangue per la nostra libertà e per la nostra indipendenza» e nella consapevolezza comune che «mancare all’impegno - ammoniva Terracini - sarebbe nello stesso tempo violare la Costituzione e compromettere, forse definitivamente, l’avvenire della Nazione».

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