CULTURA

Lo spartiacque temporale di una perdita

NARRATIVA
LAURA MARZIITALIA

«Vorrei poterti dire che né la pura terra né l’inferno esistono al di fuori di noi. Entrambi si trovano soltanto nel nostro cuore». La ricerca spirituale è una delle direzioni del romanzo d’esordio di Alessandra Gambetti La vita che conoscevo (Atlantide, pp. 182, euro 20). E il racconto dell’incontro con la filosofia buddista s’insinua nei diversi tentativi di ricerca della verità di Francesca, la protagonista, prima e dopo la morte di Fabio.
IL ROMANZO È DIVISO in due parti; la prima, «Il tempo è un gatto», narra la storia di Francesca fin dalla sua nascita, poi l’infanzia a Firenze, l’adolescenza, i suoi amori, l’approdo a Roma e l’incontro con Fabio.
La seconda, «Sopravvivenza», s’immerge nell’esistenza dopo la scomparsa del compagno, padre di sua figlia Marina. E il punto di vista della narrazione cambia: nella prima sezione del testo il racconto è in terza persona e Francesca è uno dei personaggi, nella seconda diventa l’io narrante, affondando nel memoir. Il lutto - che leggiamo nelle note essere un’esperienza autobiografica - testimonia un approccio alla vita che è improntato alla ricerca della consapevolezza. Ciò non significa che Francesca sia una personaggia infallibile, una donna che scopre a ritroso di essere stata destinata al Nirvana fin da quando era nel ventre della mamma, un’estate in Versilia, anzi. Gambetti costruisce di lei una visione che pone la fragilità come origine: a dare le mosse al racconto è stata l’esperienza diretta della morte. Colpisce in questo un testo molto raffinato anche dal punto di vista linguistico, la profondità analitica di cui l’autrice si dimostra capace: «Francesca ha quel modo di macerarsi nella sopportazione che la fa sentire alla fine migliore, un essere inarrivabile. Con la scusa di comprendere, di tollerare, si fa un bel piedistallo, un’aureola di cartapesta».
LA COPPIA si è conosciuta alla soglia dei quarant’anni, ha vissuto l’idillio dei primi tempi e poi il dissolversi dell’amore adolescenziale con l’arrivo della figlia. Entrambi la adorano, ma nessuno dei due riesce ad accettare la vita da adulti, quel dover essere incistato nell’immaginario collettivo. Iniziano a tradirsi, a litigare: «pensavamo di essere, dover essere, invincibili, di dover dimostrare qualcosa, invece no. Non importa, anche se abbiamo perso tante volte».
Mentre sono alle prese con la difficoltà dello stare insieme e devono affrontare anche il problema economico del «guadagnare a sufficienza», Fabio muore. Anche in questa seconda parte il romanzo di Gambetti si distingue per la lucidità, ancora più notevole considerata la difficoltà del tema. L’autrice è perfetta quando descrive l’alienazione del primo giorno, delle azioni necessarie, da quelle burocratiche allo strazio di dire a sua figlia e a sua suocera che l’amore della loro vita è perduto. Il testo, che contiene riferimenti a una bibliografia variegata sul tema, si conclude con un accenno al tempo attuale della pandemia, in cui il confronto col lutto non solo è intensificato per il numero delle vittime di Covid-19, ma è atroce, anche quando non può essere vissuto.

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