VISIONI

Sotto l’ombra della pandemia e la destra estrema

Maboroshi
MATTEO BOSCAROLGIAPPONE

Nella giornata di ieri è stato reso noto che lo stato di emergenza in vigore in alcune prefetture dell’arcipelago da circa un mese, verrà prolungato, giusto in tempo per accogliere la sciagurata edizione delle Olimpiadi di Tokyo alle porte, ma a cui sempre più giapponesi si stanno opponendo. La decisione è stata presa per cercare di fermare l’aumento dei casi di Covid che hanno subito un’ulteriore impennata negli ultimi mesi, con gli ospedali di Osaka, una delle città maggiormente colpite da questa nuova ondata, strapieni e che si sono visti costretti a rifiutare di ricoverare ulteriori malati. Questa estensione sarà un ulteriore colpo per le piccole sale cinematografiche, già provate da più di un anno di restrizioni e parziali chiusure, a cui è stato chiesto di ridurre gli orari di apertura quando non di chiudere. Anche se in piena pandemia le grandi produzioni giapponesi sono riuscite a sopravvivere, Demon Slayer come è noto è diventato il film con più incassi nella storia della settima arte del Sol Levante, non così è stato però per i film e le sale indipendenti. Di qualche mese fa la notizia della chiusura di Uplink Shibuya, uno dei teatri che negli ultimi decenni più hanno aiutato a far scoprire al pubblico giapponese un certo tipo di cinema fuori dal circuito dei grandi blockbuster, che ha chiuso però anche a causa di forti critiche verso la gestione sessista del suo fondatore, ma questo è un tema che ci porterebbe troppo lontano.

Come se tutto questo non bastasse, nei giorni scorsi un cinema indipendente nella prefettura di Kanagawa ha annullato le proiezioni del documentario Okami wo sagashite (Searching for the Wolf) previste per maggio a causa di pressioni di ultranazionalisti dell’estrema destra.
Già uscito in altri teatri dell’arcipelago verso la fine di marzo, il film, diretto dalla coreana Kim Mire, esplora la storia e le ragioni del Fronte Armato Anti-Giapponese dell’Asia Orientale, il gruppo militante della nuova sinistra giapponese attivo nella prima metà degli anni settanta. Gruppo che verso la metà del decennio aveva commesso una serie di attentati, il più noto e tragico quello al quartier generale della Mitsubishi Heavy Industries nel centro di Tokyo il trenta agosto del 1974, esplosione che uccise otto persone e ne ferì centinaia. Il documentario, in lavorazione da molti anni, attraverso interviste con ex militanti ora fuori prigione per aver scontato la pena, si domanda il perché di questi atti e le motivazioni che stavano dietro alle posizioni violente, fortemente anti-giapponesi e anti-imperialiste che animavano le varie fazioni del gruppo.
Ritornando alla decisione del piccolo cinema di cancellare la proiezione del film, queste minacce e tattiche intimidatorie non sono purtroppo una novità in Giappone. Spesso quando un film tratta in modo critico della figura dell’imperatore e mette in luce la storia imperialista della nazione, subito arrivano minacce scritte o telefonate seguite spesso dagli odiosi furgoni neri dell’ultra destra, nella maggior parte dei casi vuoti, che sparano odio e razzismo dai loro altoparlanti. Alcune volte, come è presumibilmente accaduto nel caso del teatro di Kanagawa, piuttosto che far fronte all’arrivo di questi furgoni neri e al conseguente fatto di doversi scusare con tutto il vicinato per il caos causato, si opta per cancellare la proiezione. Ma c’è anche chi affronta il «rischio» di petto, e sono molti i teatri che sfidano le ire degli ultranazionalisti anche grazie alla particolare posizione nel tessuto urbano, magari nella parte vecchia della città, come il Cinemarine di Yokohama che lo scorso aprile ha proiettato Searching for the Wolf nonostante la protesta ed il fracasso di due furgoni di ultranazionalisti.

matteo.boscarol@gmail.com

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