COMMENTO

Joe Biden tenta un New Deal in stile Roosevelt

Il «New Deal» post pandemia
FABRIZIO TONELLOUSA

Joe Biden, questo vecchietto di 78 anni soprannominato dai suoi nemici sleepy Joe, l’addormentato Joe, perché non dava l’impressione di traboccare di energia, al contrario deve aver dormito pochissimo nei suoi primi 100 giorni da presidente degli Usa.
Lo si è visto mercoledì sera quando ha proposto un nuovo piano di sostegno alle famiglie per 1.800 miliardi di dollari, da finanziare in parte con aumenti delle tasse sui miliardari. Un programma che arriva dopo i già enormi American Rescue Plan, la legge di lotta contro il Sars-Cov-2 (1.900 miliardi di dollari) e il piano di ricostruzione delle infrastrutture (2.300 miliardi di dollari).
Ciò che emerge da queste proposte non sono soltanto le ambizioni, Joe Biden sembra voler superare gli storici risultati del New Deal di Franklin Delano Roosevelt, ma soprattutto la rottura politica con il neocentrismo di Bill Clinton e Barack Obama. Biden non si limita a combattere con efficacia la pandemia ma mostra di voler ridurre le diseguaglianze e contrastare le gerarchie razziali con un progetto di più ampio respiro: costruire uno Stato più equo per tutti gli americani. Il sondaggista Frank Lutz ha commentato ieri che si tratta del piano «con la più chiara impostazione di classe che io abbia visto da decenni» (Lutz è un repubblicano e lo diceva per criticare Biden).
Riuscirà? Difficile dirlo: i numeri nel Congresso sono risicati. Al Senato i due partiti hanno esattamente 50 seggi ciascuno e alla Camera i democratici hanno appena tre seggi di maggioranza. Malgrado l’ampio consenso popolare che le promesse di Biden riscuotono è possibile che sia difficile tradurle in atti legislativi efficaci.
I repubblicani si battono per la stessa sopravvivenza del partito e quindi dovranno tentare di impedire ad ogni costo che i democratici arrivino alle elezioni di metà mandato del novembre 2022 con clamorosi successi in tasca.
Qualunque sia l’esito dei piani di Biden, il presidente americano mostra di aver capito che la pandemia mette necessariamente lo Stato di nuovo in prima linea e che occorre rovesciare lo schema neoliberista in cui gli Stati si pongono a diretto servizio dell’economia di mercato, forse sarebbe meglio dire dei nuovi oligarchi che dominano la scena da 40 anni. Gli Stati Uniti stanno facendo un bilancio quanto siano state nocive per la qualità della vita dei cittadini non solo le scelte folli di Trump ma anche la politica economica degli ultimi decenni all’insegna delle formulazioni di Hayek, Mises e Milton Friedman.
E l’Italia? Nel Piano di ripresa e resilienza presentato nei giorni scorsi, mettendo da parte le fantasie leghiste come i trafori che trasformerebbero le Dolomiti in uno scolapasta, di concreto troviamo un’ispirazione di fondo neoliberista che vuole recuperare coimpetitività grazie al «ritiro del settore pubblico dall’economia e la riduzione dei costi di produzione», come ha scritto ieri su queste colonne Luigi Pandolfi. Quello di Draghi e dei suoi collaboratori, ha aggiunto Pandolfi «un mondo fantastico, che fa a pugni con la realtà drammatica in cui siamo immersi».
Continuiamo ad essere un paese con alti livelli di disoccupazione, di lavoro precario e sottopagato, di insufficiente spesa pubblica e di diffusa povertà nelle aree interne e nel Mezzogiorno come scrivono da anni Fabrizio Barca e Laura Pennacchi. Joe Biden non è Lenin e forse neppure Franklin Roosevelt: ha davanti a sé ancora 45 mesi di presidenza in cui molte cose possono andare male.
Però fino ad ora sta mostrando di non essere affatto l’anziano politico centrista e scialbo che molti prevedevano. Ha messo sul tappeto piaghe storiche dell’America di questi anni, come l’incredibile violenza poliziesca contro le minoranze etniche (oltre 1.100 morti per opera di agenti nel 2020, una cifra che quest’anno verrà probabilmente superata) e il nuovo Attorney General Merrick Garland ha già avviato due indagini su dipartimenti di polizia che violano sistematicamente i diritti civili di ispanici e afroamericani.

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it