VISIONI

Un melange di musica araba nella Beirut divisa e insanguinata

Un’orchestrazione moderna che descrive la catarsi della società civile
MARCELLO LORRAIlibano/beirut

Nel 1978, tre anni dopo l’inizio della guerra civile libanese, va in scena a Beirut la commedia Bennesbeh Labokra... Chou?: ambientato in un bar di Hamra, a Beirut Ovest, la parte musulmana della città, lo spettacolo teatrale ha come protagonisti un giovane barista e la moglie, che cercano di stare a galla in mezzo alla tempesta: lei, col consenso del marito, si prostituisce con i clienti del locale, lui è diviso tra la gelosia e l’incapacità di farla smettere e di trovare il coraggio di affrontare la miseria che incombe su loro e i loro figli. Attraverso i sentimenti della coppia e i personaggi che le ruotano attorno la commedia offre una acuta, vivida rappresentazione della società nella capitale libanese lacerata dalla guerra civile: in una situazione drammatica come quella della Beirut divisa e insanguinata Bennesbeh Labokra... Chou? rimane in cartellone otto mesi, e fa epoca.
NELLO STESSO 1978 esce l’album con le musiche che intercalano le scene, e la registrazione dell’intera commedia viene poi resa disponibile in tre Lp. L’autore del testo, l’autore delle musiche e il protagonista maschile sono un’unica persona, un enfant prodige che ha solo ventidue anni, Ziad Rahbani. Figlio della grande Fairuz, che fin dagli anni cinquanta era una leggenda nel mondo arabo, e di Assi Rahbani, che assieme al fratello Mansour guidava i Rahbani Brothers, uno dei gruppi più importanti e popolari della musica araba moderna, Ziad Rahbani comincia a farsi notare con una raccolta di scritti pubblicata a dodici anni. Nel ’73, a diciassette, si guadagna già una reputazione con la musica di Saalouni El Nass, una canzone che Fairuz porta al successo. Nel ’77 incide l’album Bil Afrah guidando un complesso che, oltre a lui alla fisarmonica, comprende kanun, ney, oud, buzuki, violino, contrabbasso e percussioni. Ma, estremamente versatile, nel ’78, oltre a dedicarsi a Bennesbeh Labokra... Chou?, pubblica Abu Ali, un intelligente brano disco che diventa di culto: registrato in Grecia con un gruppo di strumentisti e elementi di un’orchestra sinfonica, coniuga la disco che è sulla cresta dell’onda con archi mediorientali, jazz orchestrale e uscite soliste di sax e di flauto ney. Intanto Rahbani comincia a lavorare come produttore e direttore musicale della madre, curando il suo album Wahdon, che esce nel ’79 e che segna il passaggio di Fairuz, indirizzata dal figlio, a soluzioni musicali più moderne.
TUTTA QUESTA INTENSA attività però non distrae affatto Rahbani dalla politica, e proprio la sua sensibilità di sinistra – Rahbani era dichiaratamente comunista – corrobora Bennesbeh Labokra... Chou?. Di famiglia cristiana, Rahbani cresce con convinzioni che sono agli antipodi di quelle più diffuse nella parte cristiana della città: il massacro che nell’agosto del ’76 conclude l’assedio del campo palestinese di Tall El Zaatar è poi per lui uno spartiacque, che lo porta a trasferirsi a Beirut Ovest. Passati tanti anni Bennesbeh Labokra... Chou? rimane una pietra miliare dello spettacolo e dell’arte del Libano moderno, e continua ad essere nel cuore di tanti libanesi: basti pensare che nel 2016 è stato realizzato un film utilizzando riprese in Super 8 dell’allestimento teatrale del ’78: presentato nelle sale libanesi, il film ha totalizzato 150mila spettatori. D’altro canto l’album con le musiche della commedia è diventato uno dei dischi più ricercati dai collezionisti di musica araba moderna, ed è difficilmente reperibile anche in Cd: ora l’etichetta Wewantsounds, nella sua collana di musica araba (in cui ha già ripubblicato in vinile sia Abu Ali che Wahdon di Fairuz) lo ripropone in vinile per la prima volta dal ’78, in una edizione rimasterizzata e curata da Mario Choueiry, studioso dell’Istitut du Monde Arabe di Parigi.
La musica creata da Ziad Rahbani per la commedia riporta con il suo respiro e la straordinaria freschezza della sua dimensione orchestrale alla modernità e al cosmopolitismo libanesi degli anni settanta. L’ariosa bossa nova dell’introduzione apre un fantastico melange di musica araba, musica classica occidentale novecentesca, jazz, funky, e affascina in particolare un brano pieno di esuberanza, di trovate, di humour, come Al Bosta, con la bella voce di Joseph Sakr: impressiona che ad avere una capacità di orchestrazione così aperta e sofisticata fosse un musicista così giovane. Riarrangiato da Rahbani in una chiave più funky, Al Bosta entrò poi anche in Wahdon e diventò un successo di Fairuz, ma musicalmente questa versione è più appassionante.
SI STRINGE IL CUORE ad ascoltare musica del genere e a pensare alla tragedia delle guerra civile (ma il pensiero corre anche al Libano di oggi). E si stringe anche ascoltando Fine Anyway di Rogér Fakhr, pubblicato (vinile e Cd) dall’etichetta Habibi Funk. Fakhr faceva parte dello stesso ambiente di Rahbani, e negli anni ottanta andrà in tour negli Stati uniti nel gruppo proprio di Fairuz, e deciderà di non rientrare. Nel ’77 Fakhr partecipa a Parigi alla seduta di registrazione dell’album Mouasalat Ila Jacad El Ard di Issam Hajali: come abbiamo raccontato lo scorso anno su queste colonne, la registrazione circolerà poi a Beirut in poche copie, ed è stata pubblicata nel 2019 da Habibi Funk. La storia di Fine Anyway è simile. Chitarrista e cantautore, Fakhr vince un paio di concorsi: poi scoppia la guerra civile. Anche lui nel periodo di esilio a Parigi registra alcune tracce, altre le incide a Beirut: solo alcune vedono la luce in cassette che Fakhr produce personalmente, e ora Habibi Funk ha pubblicato tutto il materiale. Nel gusto pop/folk delle canzoni, nell’uso dell’inglese, nel guardare a modelli d’oltre Atlantico, nei testi, c’è la maturità del cosmopolitismo libanese, ma sembra di cogliere anche il bisogno di sganciarsi da una realtà troppo atroce. Cosa non facile. «Se non ti piace continua ad andare, non ha molto senso combattere spettri...», esordisce l’ultimo brano, l’unico cantato non solo in inglese; quindi Fakhr passa all’arabo e ripete «è tutto ingiusto», e cominciano a sentirsi, agghiaccianti, sirene, raffiche di mitragliatrice e proiettili che sibilano.

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