VISIONI

Un bacio soul, la medicina magica di Paul Stanley

Interpretazioni rispettose dei classici e ben cinque nuove canzoni
GIONA A. NAZZAROUSA

Frontman si nasce. Chiedere a Paul Stanley. Per i fan dei Kiss non ci sono dubbi. I Kiss sono la più grande rock band di tutti i tempi. Tutti gli altri li disprezzano. I Kiss se ne fregano. Hanno venduto milioni di dischi e a chi mugugna che si tratta solo di fuffa e botti, loro rispondono che a casa la gente suona le canzoni dei Kiss, non il make-up, i fuochi d’artificio e le pedane semoventi. Dietro i Kiss c’è Paul Stanley, anche se la gente pensa che siano una creazione di Gene Simmons («lui è solo la bocca dietro i Kiss», dice affettuosamente Stanley dell’amico con il quale ha dato vita al più entusiasmante spettacolo rock di tutti i tempi. «Abito a qualche centinaio di metri da lui, ma posso vedere il suo ego senza uscire di casa»).
IN ATTIVITÀ dal lontanissimo 1973, Stanley ha traghettato i Kiss fra alti e bassi per quasi cinquant’anni. Chi pensava che i Kiss – e Paul Stanley – fossero ormai ridotti a essere la cover band di sé stessi, oggi è costretto a ricredersi. In rete giravano da tempo piccole avvisaglie che Paul Stanley stava esplorando un amore che la sua figura di starchild glam-metal aveva tenuto tenuto nascosto sino a oggi. Paul Stanley’s Soul Station è un omaggio del frontman dei Kiss alla musica soul che da adolescente aveva amato e ascoltato prima di scoprire il rock della British Invasion. Nelle magnifiche note di copertina del disco (che colgono con calzante precisione la temperie politiche del post-Trump e il bisogno profondo di guarire collettivamente), Stanley racconta che «prima ancora che scoprissi le band provenienti dall’Inghilterra, sono cresciuto ascoltando il Philly Soul, la Motown e tantissimi altri. Sono stato estremamente fortunato di vedere dal vivo Otis Redding e Solomon Burke, fra gli altri. Quella musica e quelle storie mi hanno dato la forza per affrontare dei giorni molto duri. I grandi classici di quell’epoca sono della medicina magica per tantissime persone. Mi sono sentito attirato nuovamente verso quell’epoca per un po’ di stregoneria di cui tutti abbiamo bisogno oggi».
LA PRECISIONE con la quale Stanley descrive l’alchimia scenica dei Temptations e le loro coreografie metronomiche, evidenzia una passione mai sopita. Now & Then s’intitola l’esordio discografico della Paul Stanley’s Soul Station, un ponte gettato fra ieri e oggi (il batterista è Eric Singer, il nuovo Catman). Lo sconcerto con la quale è stata accolta questa nuova avventura musicale di Stanley da parte dei fan più monolitici dei Kiss è molto indicativa. Le insinuazioni sulla voce che non reggerebbe più lo sforzo dei classici dei Kiss, l’accusa di inseguire una sensibilità woke per mero calcolo commerciale e, nel peggiore dei casi (da parte dei fan più far right), come un coming out procrastinato per troppo tempo, sono molto indicativi (i più filologi fra i contrari affermano che nei Soul Station non c’è nulla che non fosse già nel primo disco solita di Peter Criss, l’ex batterista dei Kiss…). A tutto ciò si aggiunga che Stanley ha dato molti dispiaceri ai suoi fan repubblicani, schierandosi apertamente contro Trump, a favore dell’uso delle mascherine e definendo criminali la teppaglia che ha assaltato il Campidoglio. Ciò che sorprende appena la puntina si posa sui solchi del disco, è la precisione filologica dell’esecuzione, nel rispetto assoluto della passione soul senza tentare di imitare le interpretazioni di questi classici intoccabili. Stanley si produce in un’esecuzione vocale che non teme confronti con alfieri soul bianchi come Aaron Frazer, Mayer Hawthorne o Remy Shand. La tracklist selezionata osa presentare classici intoccabili come Let’s Stay Together di Al Green e The Track of My Tears. Non bisogna certo essere degli esperti filologi musicali per capire che provare a confrontarsi con vette assolute come Al Green o Smokey Robinson è un’impresa di rara temerarietà. La commozione e il rispetto che trasudano dall’interpretazione di Stanley gli permettono di offrire un punto di vista inedito su brani leggendari e allo stesso tempo evidenziano il controllo assoluto che il frontman dei Kiss esercita sulla sua voce.
CHE DIRE POI della rendition di You Are Everything (indimenticabile duo fra Marvin Gaye e Diana Ross) e Baby I Need Your Loving se non che sono eseguite con un entusiasmo incontenibile? I brani originali composti per l’occasione da Stanley, ben cinque, evidenziano, per chi ha le orecchie per intendere, che in fondo anche molti classici dei Kiss sono probabilmente nati in chiave soul e poi irrobustiti per chitarre elettriche. O-O-H Child e I, Oh I potrebbero benissimo essere dei gioielli perduti del catalogo Motown. E poi, c’è persino un po’ di Italia in questa impresa neo-soul di Paul Stanley. Direttore musicale del progetto Soul Station è infatti un tale Alex Alessandroni che ovviamente è il figlio di Alessandro Alessandroni, che vanta collaborazioni con gente del calibro di Whitney Houston, Christina Aguilera, Tony Braxton, Bobby Brown e tante e tanti altri.

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