VISIONI

Stefano Di Battista, nel respiro di un sax

L’ ultimo album dell’artista romano è un omaggio a Ennio Morricone con riletture tratte dal suo repertorio
FRANCESCO BRUSCOITALIA

Pendolare del jazz in perenne andirivieni tra Roma e Parigi, Stefano Di Battista è tra i più brillanti cervelli in fuga della nostra musica. «L’Italia è un paese stupendo» esordisce con una ma già sulla punta della lingua, «ma qui i musicisti non hanno ancora un trattamento adeguato, nonostante tutti usufruiscano della loro arte». Mentre passeggia al parco col suo cane racconta di aver trovato Oltralpe una nuova dignità professionale, figlia di uno spirito culturalmente più avvertito: «In Francia se fai il musicista sei un privilegiato, in Italia soltanto uno che non ha voluto lavorare». Non è il trito j’accuse contro l’istituzione, visto che il sassofonista stigmatizza a suon di metafore anche le mancanze della propria categoria: «Noi musicisti dobbiamo imparare ad allacciarci le scarpe!».
CIONONOSTANTE Stefano resta profondamente legato alla sua città, in special modo a Tor Cervara, dove ha deciso di portare avanti il ristorante ereditato dai genitori. Musicista e ristoratore, non certo la miglior condizione di questi tempi: «Non l’avessi mai fatto, è successo di tutto! Ma è una promessa che va mantenuta. Io la prendo con filosofia, non essendo un imprenditore, ma sono molto preoccupato per i dipendenti» confessa. Proprio la romanità è stata tra i collanti della sua amicizia con Ennio Morricone, nata nel 2007 e subito battezzata da un dono.
METTI UNA SERA a cena, col Maestro che chiede al sassofonista: «Ce l’hai lo strumento? Prendilo, ché ti scrivo un pezzo». Così nasce Flora, brano dedicato alla figlia di Stefano e Nicky Nicolai, inciso per la prima volta proprio in questo nuovo album appena pubblicato, Morricone Stories (Warner Music), con cui Di Battista ricambia l’omaggio. Continuando a passeggiare ritrova immagini legate a un uomo la cui semplicità è distillata in tanti piccoli momenti — «Ce lo vedi, Ennio Morricone, che scende dalla mia macchina e blocca il traffico per farmi parcheggiare?» — in un ventaglio di emozioni così ampio da concedere spazio anche alla paura. «Nell’ultima fase della sua vita il Maestro sapeva di questo progetto e non nascondeva i dubbi su come un jazzista potesse affrontare la sua opera. Forse temeva la troppa libertà, e di conseguenza io stesso avevo paura a improvvisare sulla sua musica. Ma volevo colpirlo, piacergli, fargli vedere con quanta disciplina avrei affrontato il lavoro».
Poi in sala d’incisione compaiono sentimenti di segno totalmente opposto: «Un entusiasmo talmente pazzesco da essere preoccupante! Tutti i miei fantasmi, da Coltrane a Parker, cercavano di impossessarsi del mio modo di suonare. Li ho dovuti placare, perché il Maestro esigeva serenità e disciplina. Certo, in alcuni brani come Veruschka e Metti una sera a cena mi sono lasciato andare di più; in Peur sur la ville ho addirittura fischiato, come si fa in tante delle sue musiche». Disciplina e rispetto, parole chiave del disco inciso assieme a Fred Nardin al piano, Daniele Sorrentino al contrabbasso e André Ceccarelli alla batteria: «Con Fred abbiamo analizzato le partiture meravigliandoci della loro assoluta perfezione. C’era tutto il linguaggio di Ennio Morricone motivi giocati sulle terze e sulle quinte, le cadenze evitate che tanto amava, le progressioni melodiche come cicli infiniti».
DA BROADWAY, regno degli standard jazz, a Cinecittà, per un repertorio le cui difficoltà, osserva Di Battista, «più che tecniche sono psicologiche, proprio in virtù del mio rapporto umano con lui». Da dove partire per improvvisare su questi temi? «Da un lungo respiro», risponde, evocando l’immagine di un treno su cui salire al volo. Respirare dentro la melodia, farla propria: «Non puoi limitarti a leggerla sullo spartito… nun se po’ fa!». Una catarsi, per Stefano, «tanto più che in momenti come questo ti viene da chiederti se sei ancora in grado di fare musica». Facile prevedere che saranno gli ascoltatori e fugare i suoi dubbi, come fece quella signora francese che alla fine di un concerto gli disse: «La vostra musica, monsieur, migliora decisamente la qualità della mia vita».

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