VISIONI

Amleta, contro la disparità di genere nello spettacolo

L’analisi dei dati, l’osservatorio contro le violenze, il dialogo con le istituzioni
LUCREZIA ERCOLANIITALIA

«Avevamo la necessità di mettere dei numeri al posto delle sensazioni» afferma Cinzia Spanò, una delle ventotto attrici che hanno fondato il gruppo Amleta. Una rete presente in tutta Italia, nata un anno fa, che intende affrontare il tema della disparità e delle violenza di genere nel mondo dello spettacolo. Il primo passo è stata l’elaborazione di alcuni dati sulla presenza femminile nei sette Teatri nazionali — dove non c’è nessuna donna alla direzione artistica — e nei Teatri di rilevante interesse culturale, le categorie che ricevono più finanziamenti. Il risultato parla del 68% di uomini contro il 32% di donne prendendo in considerazione attrici, registe e drammaturghe.
L’associazione ha segnalato spesso i bandi delle maggiori istituzioni teatrali per un linguaggio non inclusivo ed è arrivata a scontrarsi con la critica specializzata per la «pigrizia» nel parlare dei progetti femminili. C’è poi l’osservatorio sulle violenze: Amleta si è fatta piattaforma e aiuto per chi vuole denunciare gli abusi, a cui si aggiunge l’interlocuzione con la politica per chiedere interventi concreti. Per una categoria disgregata su cui pesano molti pregiudizi è un passo verso l’autodeterminazione nel campo dei diritti ma anche dell’immaginario. Ne abbiamo parlato con le attrici Cinzia Spanò e Francesca Turrini.
«Amleta è nata per raccogliere dati» scrivete nel documento di presentazione. Cosa vi ha spinto a partire dai numeri?
Turrini: Ho sempre visto delle disparità intorno a me ma non avevamo nulla di concreto a cui fare riferimento. È vero che il dato non è mai totalmente oggettivo e che va interpretato, ma è comunque una base importante. Inoltre è facendo queste analisi che si è formata la squadra, i numeri sono diventati un forte collante di autoconsapevolezza.
Spanò: Nei ruoli più determinanti per decidere cosa raccontare, ovvero drammaturgia e regia, c’è ancora un sostanziale monopolio perché le percentuali parlano dell’80-85% di uomini. Dato che si va ad assottigliare ulteriormente se prendiamo in considerazione le sale più importanti. Questa situazione crea un circolo vizioso per cui, purtroppo, è difficile provare il desiderio di diventare una regista teatrale se non si percepisce la possibilità di poterlo realizzare. Spesso si fa finta di non comprendere questo meccanismo e si dice banalmente che «le donne non ne hanno voglia», il che è assolutamente falso.
Avete creato la mail «Osservatoria» per ricevere testimonianze e denunce sulle violenze di genere nel mondo dello spettacolo, è uno strumento che sta funzionando?
Spanò: La violenza sulle attrici è molto subdola perché lavorando col proprio corpo è difficile segnare un confine su cosa è lecito e cosa no. Continuiamo ad introiettare alcuni messaggi come quello per cui, se vuoi fare l’attrice, devi essere quanto meno disinibita e molti se ne approfittano, soprattutto con le colleghe più giovani. Abbiamo scoperto e segnalato casi di finti provini che poi terminavano con lo stupro. Accanto a queste situazioni così nette ce ne sono altre che sono molto più complesse da arginare. Un esempio: delle colleghe avevano delle scene di nudo in alcuni spettacoli. Nell’uso smodato che si fa dei video, quei momenti sono stati ripresi e condivisi, per essere poi caricati su diversi siti pornografici con decine di migliaia di visualizzazioni. Serve una nuova contrattualistica, oggi che esiste lo streaming le liberatorie generiche non bastano più. È un tema di cui anche le produzioni devono farsi carico, noi con l’aiuto di avvocate specializzate facciamo il possibile ma ogni denuncia costa migliaia di euro e non può essere solo un compito della nostra associazione. Inoltre ci sono arrivate testimonianze di violenze reiterate avvenute nel corso degli anni, ma la denuncia per questi reati è valida solo entro dodici mesi da quando è accaduto il fatto. Il messaggio da trasmettere è che, anche se non c’è una condanna e non si è potute intervenire con gli strumenti di legge, questo non significa che non si debba credere alle numerose donne che decidono di parlare.
Turrini: Il fatto che le donne non vengano credute è un problema culturale e su questo vogliamo intervenire. Siamo colpite, ad esempio, dalla grande quantità di fiction della Rai in cui si racconta di finti stupri denunciati per interesse. È allucinante che questa narrazione patriarcale emerga in modo così forte e anche il fatto che nessuno, dai vertici dell’azienda, abbia sentito l’esigenza di rispondere alle nostre segnalazioni.
State approfondendo anche il tema della genitorialità per le attrici.
Turrini: Sì, perché ci sono molti deterrenti rispetto al diventare madre. A breve diffonderemo un questionario tra colleghe per verificare se e quanto diventa più difficile trovare lavoro dopo la maternità. Ci sono troppi stereotipi: si crede che dopo aver avuto un figlio non si abbia tempo o addirittura che si diventi meno attraenti. Inoltre c’è un grande problema di tutele perché è difficile accedere all’assegno di maternità.
Recentemente avete incontrato il Consiglio superiore dello spettacolo. Quali interventi concreti chiedete di mettere in campo?
Spanò: Stiamo intervenendo su numerosi tavoli, quello permanente del Mibact è più confuso mentre il Consiglio superiore dello spettacolo ci ha dato maggior ascolto. Stiamo ragionando su vari strumenti, come una premialità per i teatri che impiegano le donne, come è stato già fatto per i giovani.
Turrini: Io ho un po’ di problemi a sedermi ai tavoli, ho una matrice libertaria che mi rende recalcitrante ad alcune dinamiche. Tra noi però ci sono alcune che fanno politica da anni e mi fido totalmente di loro per questi interventi. Io non sarei per premiare chi impiega le donne ma per sanzionare chi non lo fa, perché dovrebbe essere la normalità, non qualcosa di virtuoso. Mi rendo conto però che sono importanti anche i passi che vanno nella direzione corretta.

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