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Talpe e «forma partito»

Sinistra
SIMONE OGGIONNIITALIA

La riflessione che Aldo Garzia propone sulla «forma partito» è importante, soprattutto per le conclusioni cui non giunge apertamente ma cui allude e che mi paiono la risposta migliore all’invito di Norma Rangeri rivolto alle talpe a uscire allo scoperto.
Prima di esplicitarle, però, un passo indietro: Aldo muove da una constatazione ineludibile.
I partiti, per come li ha conosciuti la seconda metà del ‘900, non esistono più. Anche e in primo luogo a sinistra. Questa scomparsa ha due responsabili: in quota maggiore è da attribuire al cambio di paradigma che ha segnato la trasformazione del capitalismo a partire dalla metà degli anni Settanta e nella cui coda ancora oggi siamo imbrigliati.
Un cambio di paradigma che ha il suo fulcro nella frammentazione del ciclo produttivo e del soggetto operaio, nella nuova velocità dei processi di trasformazione strutturale e sovrastrutturale che, dalla finanza all’iper-comunicazione, hanno frantumato e ridefinito anche i confini delle identità. In quota minore, però, la scomparsa dei partiti è addebitabile alla scelta di intere classi dirigenti progressiste di disinvestire, nel corso degli anni, sull’organizzazione del rapporto tra politica e popolo, tra momento istituzionale e corpi intermedi. Se questo ragionamento è fondato, occorre fare i conti con le sue due conseguenze più dirette.
La prima è che sarebbe un errore imperdonabile accettare passivamente il disarmo politico e intellettuale che ha condotto dal partito di massa alle attuali forme fluide, elettoralistiche e leaderistiche della politica. In questo senso occorrerebbe il coraggio di dire che la prospettiva storica del Pd si è esaurita, perché ha scelto di collocarsi per intero sul binario morto di una costruzione asettica e indistinta, afona rispetto ai conflitti sociali e al turbinio di contraddizioni che il nuovo capitalismo ha generato.
La seconda conseguenza è che la semplice evocazione della necessità organizzativa del Partito della sinistra, fuori e contro il Pd, non funziona, è respingente, è condannata a essere velleitaria, nella misura in cui non fa i conti con la dimensione della partecipazione di larghi e ampi settori popolari alla vita politica del Paese. E più la si suggerisce e la si improvvisa e più essa evapora, insieme alla sua credibilità.
Occorre allora che sia la sinistra, la nostra sinistra, ad avanzare una proposta che sia riorganizzativa dell’intero campo progressista, che superi la frammentazione delle sigle presenti, che comprenda e coinvolga anche il Pd, e che si sviluppi non sulla base delle suggestioni (che spesso utilizzano formule vaghe perché vuote) ma di una idea-forza dirompente, senza la quale crolla l’impianto e si è condannati nella gabbia degli errori e delle insufficienze del passato recente.
Questa idea-forza è il progetto - mai sperimentato fino in fondo - di un vero protagonismo, diffuso e molecolare, delle militanti e dei militanti della sinistra italiana, che hanno il diritto di non essere più né monadi irrelate né esercito di manovra delle tante piccole élite (correnti e partiti) che governano il teatro della nostra politique politicienne.
Un protagonismo che sia naturalmente democratico, che si fondi su di una pluralità di esperienze, istituti di auto-rappresentazione e di autogoverno, dalla cui unione in forma nuova, in forma federativa, nasca il partito del nostro tempo.
Un soggetto politico che si concepisca in forma plurale, unendo le diversità senza costringerle alla reductio ad unum nel nome del capo (o dell’apparato burocratico che lo sostiene), un soggetto politico federato capace di adattarsi alle pieghe del nostro presente, ai tempi e ai luoghi di vita di tutti e tutte.
Che prenda in mano la dimensione digitale e la integri con quella del territorio, della vertenza locale e della mobilitazione globale.
Della piazza e delle agorà. Senza avere paura di internet. Anzi: utilizzando internet per creare un unico grande spazio, un albo di donne e uomini cui affidare e con cui avviare il per percorso costituente. Su quale parola d’ordine?
La più antica e al contempo la più moderna: il progetto dell’uguaglianza, di una nuova idea di eco-socialismo all’altezza della storia e delle sue contraddizioni. Apriamo le danze (o rimaniamo imbrigliati nei recinti delle rispettive appartenenze)?

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