INTERNAZIONALE

I rischi di un ritorno a una divisione «ideologica»

Usa-Cina-Ue
SIMONE PIERANNI USA/CINA/ALASKA/EUROPA

Dopo l’incontro in Alaska e il duro confronto tra Usa e Cina, la situazione si è fatta frenetica: la Ue ha sanzionato alcuni funzionari cinesi per le gravi violazioni dei diritti umani in Xinjiang, la Cina ha risposto con misure molto dure contro europarlamentari e enti di ricerca; subito dopo sono arrivate le sanzioni contro Pechino di Usa, Gran Bretagna e Canada. Il tutto mentre il ministro degli esteri Lavrov era in Cina, mentre una delegazione cinese era in Corea del Nord e mentre si svolgeva il summit dei ministri degli esteri della Nato e poco prima dell’annuncio della presenza (virtuale) di Biden al Consiglio d’Europa. Cosa trarre da questa frenetica attività di questi paesi? Intanto che Biden – in attesa di capire come si comporterà da un punto di vista commerciale – sta cercando di ricompattare il fronte atlantico contro la Cina. Apparentemente ci sta riuscendo, ma alcune questioni rimarranno aperte. Ad esempio in Asia, dove la muscolarità americana anti cinese, se rassicura più di Trump Seul e Tokyo, non convince totalmente paesi che con la Cina hanno a che fare quotidianamente e alla quale si erano riavvicinati, in termini commerciali, durante l’era Trump. C’è poi la posizione cinese da indagare: la reazione alle sanzioni Ue è stata scomposta, sintomo che a Pechino si sentono braccati e non è mai un segnale positivo. In più c’è Mosca che spinge per andare in direzione di una creazione di blocchi ideologici, proprio come vogliono fare gli Usa. Mosca ha bisogno del sostegno cinese a livello economico e tecnologico e stringe i tempi per ridurre la dipendenza dal dollaro e per sostenere Pechino contro l’Occidente. La Cina, se ha sempre supportato in sede Onu la Russia con la quale ha ampie cooperazioni, rischia così di finire in una cornice che non si addice alle sue recenti politiche, improntate a fare affari con tutti, senza guardare in faccia il segno politico dell’interlocutore. Colpire la Ue per avvisare gli Usa, inoltre, potrebbe mettere a repentaglio due cose: intanto l’accordo economico con la Commissione e che dovrà essere ratificato dal Parlamento Ue; in secondo luogo rischia di perdere terreno con la Ue, impegnata a trovare una nuova identità nella fase post Merkel e in questo momento «guidata» da Macron e Draghi: uno scenario nel quale Pechino dovrebbe muoversi con cautela, cercando di capire cosa potrebbe succedere in un continente nel quale perde Merkel, stimata in Cina nonché sostenitrice di una linea pragmatica (affari e tirate d'orecchio per i diritti umani) che ha pagato, rendendo la Germania il primo partner europeo della Cina. Si procede dunque alla giornata, con gli ambasciatori cinesi convocati dai governi europei, anche in Italia, e con le rispettive opinioni pubbliche sempre più radicalizzate. E a fare da sfondo c’è la pur sempre turbolenta situazione del Pacifico dove tutte queste chiacchiere rischiano di trasformarsi in un vero e proprio confronto militare.

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