INTERNAZIONALE

Dopo gli insulti, Usa e Cina insieme contro il climate change

SIMONE PIERANNI USA/CINA/ALASKA/ANCHORAGE

Non si può dire che l’incontro in Alaska sia stato di quelli memorabili: non è stato fatto nessun passo avanti importante e anzi sarà ricordato per le bordate tra le due delegazioni nel primo giorno di discussione. È pur vero però che riempire la voragine creata dai quattro anni trumpiani non era facile, né forse sarà mai possibile. In conclusione l’opinione pubblica internazionale potrà prendere per buono l’impegno di entrambi i paesi a cooperare contro il cambiamento climatico; un passo avanti, perché fino a poco fa gli Usa erano nelle mani di un negazionista, ma poco rispetto a tutto quanto divide i due paesi. Il summit serviva più a fare annusare la nuova amministrazione americana all’ormai consolidato potere politico di Xi Jinping.
Proprio Xi quando era arrivato al vertice del potere cinese aveva ripetuto in modo ossessivo che Usa e Cina dovevano entrare in una «relazione tra grandi potenze», che tradotto significava già allora - era il 2013 - che la Cina non avrebbe più nascosto la propria volontà di avere un peso nelle relazioni internazionali. Piano piano Pechino con il progetto della Nuova via della seta ha intessuto relazioni anche in quelle aree del mondo considerate di pertinenza americana e prima ha creato propri organismi alternativi a quelli occidentali (dove gli Usa hanno sempre ostruito un suo maggior protagonismo), prima di allargarsi a fronte dell’arretramento americano (vedi Organizzazione mondiale della sanità e Nazioni Unite). Non sorprende dunque che la Cina abbia esplicitato agli Usa che l’idea di democrazia come la intendono gli americani non è universale e che nel mondo non si dice ovunque un gran bene di come gli americani abbiano tentato di «esportarla». Sotto lo scontro dialettico però rimane il non detto, ovvero la corsa al primato tecnologico, che misurerà la sfida nei prossimi anni.

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