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Una questione espulsa dal discorso politico

Mafia
LUCREZIA RICCHIUTIITALIA

«Pio La Torre, chi era costui? E Mattarella? E gli altri cento, quelli che un giornale progressista elencava ieri come anonimi e trascurabili "sindacalisti, politici locali, funzionari", nessuno, insomma? E gli altri ancora, i morti quotidiani in Sicilia, a Napoli, dappertutto? Sempre nessuno».
Così scriveva Luigi Pintor sul manifesto del 5 settembre 1982, all’indomani dell'eccidio di via Carini a Palermo, in cui persero la vita Carlo Alberto Dalla Chiesa ed Emanuela Setti Carraro.
Mi sembrano parole atrocemente attuali, a 40 anni di distanza. A chi interessano i morti di mafia, i cui nomi ancora qualche giorno fa Luigi Ciotti ha rievocato? E, soprattutto, alla politica di oggi interessa combattere seriamente le mafie? La parola mafia manca completamente dal lessico del discorso programmatico di Mario Draghi e - per la verità - è assente anche dai discorsi di tutti gli esponenti parlamentari. Tutti, purtroppo, compresi quelli dell'arcipelago della sinistra che alla tradizione di Placido Rizzotto, Momo Li Causi e Pio La Torre si dovrebbero ispirare.
Il dibattito sull'ordine pubblico resta purtroppo monopolizzato in modo strumentale dal tema dell’immigrazione, soprattutto per sviare l'attenzione da un fattore indiscutibile: il principale problema di ordine pubblico in Italia sono le mafie, altrimenti il processo Rinascita-Scott a Lametia non richiederebbe le eccezionali misure di protezione che sono state messe in atto (vedi Presa diretta di Riccardo Iacona sulla ’ndrangheta di qualche giorno fa)
Così come la discussione sulla giustizia è tutta concentrata sulla falsa e pelosa diatriba giustizialisti contro garantisti. Facciamo un paio di esempi: Dana Lauriola, militante NO Tav è stata condannata a una pena pesante per le manifestazioni in Val di Susa. I garantisti nostrani non hanno fatto una piega. Viceversa sul fatto che i mafiosi al 41-bis non possano vedere i figli minori in ragione del regime carcerario cui sono sottoposti fa scandalo, al punto che si pronuncerà la Corte costituzionale. Due pesi e due misure.
Lo sguardo deformato delle élites politiche e dell'opinione pubblica sui problemi dell'ordine pubblico e della giustizia produce una sub-cultura funzionale agli interessi mafiosi. Eccone i capisaldi.
Primo: i diritti costituzionali spettano in egual misura e nella stessa intensità ai criminali mafiosi quanto alle loro vittime. Lo Stato deve essere sostanzialmente neutrale. Quindi tutte le misure immaginate da La Torre, prima, e da Falcone e Borsellino poi, per stroncare le relazioni mafiose (carcere duro, sequestri e confische) sono perciò stesso illegittime.
Secondo: i giornalisti e gli attivisti che si impegnano quotidianamente in inchieste e iniziative per denunciare i soprusi delle consorterie mafiose presenti in tutta Italia sono in errore, perché si ostinano a sottolineare le differenze profonde tra i reati mafiosi e quelli relativi ad altri ambiti della devianza. In definitiva, persone come, per esempio, Marco Omizzolo, Lirio Abbate e Paolo Borrometi sono sotto tutela o scorta perché sbagliano a capire, non perché denunciano la verità.
Terzo: vedere mafia dappertutto, specialmente nell'economia, è un comodo alibi per non affrontare i nodi strutturali della crisi economica e non «fare le riforme». Mettere limiti al contante, rafforzare i meccanismi di controllo dei flussi finanziari e di segnalazione delle operazioni sospette e - soprattutto - applicare efficacemente il codice degli appalti, danneggia lo sviluppo economico perché crea troppa burocrazia.
Questi assunti sono tanto menzogneri quanto consolidati in una vera e propria ideologia, cui purtroppo anche le formazioni politiche del fu centrosinistra si vanno adeguando.
Val la pena allora ricordare che non c’è proprio nulla di costituzionalmente dovuto nell’ammorbidimento delle misure antimafia. La Corte costituzionale ha stabilito decine di volte che la collettività ha il dovere di difendersi dagli attacchi violenti e sovvertitori; e che la Corte europea dei diritti di Strasburgo ha a più riprese stabilito che lo Stato ha il dovere di proteggere le vittime dei reati e di non permettere troppo facilmente la prescrizione dei reati. Occorre rammentare che Peppino Impastato, Mauro Rostagno e Giancarlo Siani (per fare solo alcuni esempi) non erano sprovveduti che prendevano per estorsioni e faide da traffico di stupefacenti meri furtarelli o liti per corna. E non si può dimenticare - mai - che le mafie sono un gigantesco potere economico-finanziario, che muove enormi affari e interessi, dall’America Latina all’Italia e all’Europa tutta. Ogni vittoria della mafia è un danno politico e sociale. E anche economico.

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