VISIONI

Cronache marziane e altre esplorazioni

Le informazioni del robot Perseverance ci rivelano un’altra parte di noi
SILVIA VEROLIITALIA

In era pandemica due cose possono accadere: che l’orizzonte si restringa al perimetro delle mura domestiche e il raggio di azione coincida con la lunghezza del proprio naso (improvvisamente visibilissimo su zoom), per la gioie delle imprese del mobile e arredo e dei chirurghi plastici. Oppure di contro può capitare che il pensiero si spinga verso interminati spazi e sovrumani silenzi. Anche se a marzo 2021 nei discorsi e nell’immaginario lo Sputnik è prima un vaccino che un satellite, lo spazio rimane ancora meta di divagazioni filosofiche e scientifiche, riaccese dall’arrivo su Marte il febbraio scorso di Perseverance erede di Curiosity, rover della Nasa che portano il nome delle nuove virtù cardinali nella stagione più dura.
Il robot della missione 2021 ha cominciato a elargire, solerte come il Wall E della Pixar, le sue cronache marziane attraverso un sistema di camere, Mastcam-Z: la loro tavola di calibrazione, che molta ribalta mediatica ha avuto a ridosso dell’ammartaggio, è ovviamente prima di tutto funzionale. Montata sul fuoristrada marziano a sei ruote, mostra in superficie cerchi colorati che servono agli scienziati per verificare la correttezza delle impostazioni dell’apparecchiatura; ma la strumentazione Nasa è spesso dotata di fregi e messaggi prettamente simbolici : vi sono infatti raffigurate alcune tappe evolutive del sistema solare, una molecola di dna, cianobatteri, felci, dinosauri, la figura di un uomo e quella di una donna, a raccontare di inferno e paradiso terrestri. Sulla tavola è fissata un’asta (lo gnomone) a proiettare l’ ombra del sole nel cielo marziano, per consentire agli studiosi di farsi un’idea dell’ inclinazione dei raggi lassù. In pratica c’è meridiana a spasso su Marte. Inoltre il braccio meccanico del rover, che ospita anche un piccolo elicottero dal nome false friend di Ingenuity/ Ingegno, sostiene lo spettometro S.h.e.r.l.o.c. (per l’analisi dei composti minerali e organici) e la fotocamera W.a.t.s.o.n. con cui il rover fa foto e si fa selfie, e il perché della scelta di questi acronimi è elementare.
L’umanità, attraverso oggetti, motti di bordo e nomenclatura messe a punto dalla comunità scientifica, parla sempre di sè quando tocca altri corpi celesti, vuole lasciare traccia, raccontarsi e raccontarsela; farsi riconoscere, se qualcuno ci sarà ad ascoltare presto o tardi, e anche a scongiurare lo sgomento da solitudine aliena eppure vagamente familiare.
Dunque ancora più straniante, restituita dagli scatti e dalle registrazioni di Perseverance: deserti e rilievi che somigliano ai nostri, il fruscio sordo del vento teso che soffia una polvere lontana sette mesi di volo.
DELLE TRACCE UMANE nello spazio, segnatamente di quelle lasciate sulla luna, è stato appena pubblicato un inventario; lo ha fatto la All Moonkind, Inc., un’organizzazione no profit internazionale che sta lavorando con le Nazioni Unite e la comunità internazionale per gestire la conservazione della storia e del patrimonio umano nello spazio. Il catalogo dei beni del patrimonio umano lasciati sulla luna, spiega il sito moonregistry.forallmoonkind.org. La versione prosaica di quel che Astolfo trovò su suolo selenico, si direbbe. Bandiere, medaglioni, paracadute, placche con messaggi di pace, resti di moduli e di equipaggiamenti, contenitori di urina, in luogo di lacrime d’amanti, tempo perso, progetti e desideri vani, senno d’Orlando.
«La storia degli esseri umani sulla Luna appartiene a tutti sulla Terra - ha dichiarato Michelle Hanlon, co-fondatrice di All Moonkind - stiamo lavorando per ottenere il riconoscimento internazionale e la protezione per i siti nello spazio che hanno un valore storico universale. Come parte di questo sforzo, vogliamo assicurarci che i dettagli dell’incredibile viaggio dell’umanità nello spazio - passato, presente e futuro - siano accessibili a tutti». Parchi archeologici della presenza umana sulla luna in pratica, coincidenti coi siti delle missioni Apollo. Ne ha parlato diffusamente nell’ottimo saggio Imparare dalla luna, ed. Quodlibet, Stefano Catucci, professore di estetica alla Sapienza. Lo ha pubblicato nel 2013 e poi aggiornato. Nelle sue presentazioni in Italia, racconta, quelle legate ai cinquant’anni dall’allunaggio, si è imbattuto in terrapiattisti che un lustro prima non c’erano o non si palesavano. L’autore vede riflesse nelle esplorazioni e nella luna, come in un specchio, indicazioni su fenomeni molto terrestri: feticismo del passato prossimo, logiche e illogiche del turismo e della colonizzazione; nel racconto degli oggetti lasciati dagli astronauti anche clandestinamente nei viaggi spaziali spicca quello che ha protagonista James B.Irwin, pilota del modulo della missione Apollo 15 che smessi i panni d’astronauta divenne predicatore biblico e persino cercatore dell’Arca di Noè.
IRWIN DEPOSE sulla luna la foto di un suo omonimo; un anziano di nome J.B.Irwin morto senza esaudire il sogno di raggiungere il nostro satellite. Un versione senior di sè lasciata a consumarsi lassù, nella dimensione già fossile della cornice lunare, in uno sdoppiamento alienante che ricorda il finale di 2001 Odissea nello spazio, un anno prima del fatidico luglio del 69. A riguardo Catucci ricorda le parole di Pier PaoloPasolini: «Ciò che commuove nella passeggiata ...degli americani sulla luna non è il futuro ma il passato: il destino di ogni futuro di diventare passato». L’impronta goffa del moon boot di Armstrong e Buzz fu da subito preistorica.
Da Marte invece ci si aspetta il progresso, pur nella malinconia bradburyana da zona per sempre rossa, ma comunque una tomorrowland. I segni meccanici di Perseverance tracciano rotte che vanno lontano nel futuro attraverso nuovi ambiti di ricerca: l’astrobiologia, ad esempio. È la scienza nuova di cui si parla nel prossimo numero di Passenger, pubblicazione edita da Iperborea che approfondisce la fisionomia geopolitica e culturale di Paesi e città, dedicata ad aprile allo Spazio, quasi fosse l’unica meta turistica cui rivolgersi senza bisogno di passaporti sanitari.
ALTRO SITO, altro regalo: su http://spaceartefacts.com/ la ricognizione delle umane zavorre e capsule del tempo si estende ad altri pianeti del sistema solare, è l’elenco non esaustivo degli oggetti artificiali umani sparsi nel sistema solare; merita una segnalazione il capitolo dedicato alle prove immateriali della nostra presenza nello spazio interstellare. Tra di queste: la bolla elettromagnetica centrata sulla Terra in continua crescita creata all’inizio degli anni Cinquanta (fatta da trasmissioni radiofoniche e televisive, emanazioni di telescopi e radar e impulsi di esplosioni nucleari, ecc.); brevi messaggi radio che abbiamo trasmesso alle stelle sin dagli anni Sessanta e noti anche come trasmissioni Seti (Active Search for Extraterrestrial Intelligence) o Meti (Messages for Extraterrestrial Intelligence) attive. È qui che si annovera anche « Poetica vaginal», progetto dell’artista e ricercatore del MIT, Joe Davis che a metà degli anni ’90 si è preoccupato di rilevare e trasmettere in forma di suono le contrazioni vaginali (di ballerine) ai sistemi stellari di Epsilon Eridani e Tau Ceti. Non è chiaro quale tipo di risposta dovremmo aspettarci.

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