VISIONI

James Levine, la magia incantata del Met

Addio al celebre direttore d’orchestra, storici gli allestimenti con Caballé, Price e Domingo
ANDREA PENNAusa/palm spring

La notizia è stata ufficializzata dal suo medico solo ieri mattina e ha fatto subito il giro del mondo, ma la morte del direttore d’orchestra americano James Levine, 77 anni, avvenuta a Palm Springs, risalirebbe in realtà al 9 marzo scorso. Con lui si conclude una vicenda artistica dal profilo internazionale ma anche profondamente americana, che ha legato Levine per oltre quarant’anni al Metropolitan Opera di New York. Nato a Cincinnati il 23 giugno 1943, Levine era entrato alla Julliard School di New York con una solida preparazione pianistica; assistente di Georg Szell alla Cleveland Orchestra, vi rimase fino al 1970, quando la sua carriera di direttore era già iniziata. L’approdo al Metropolitan Opera di New avvenne nel maggio 1971, con una rappresentazione di Tosca con Franco Corelli e Grace Bumbry. Direttore principale nel 1973, James Levine divenne direttore musicale del più prestigioso teatro d’opera degli Usa nel 1976.
QUANDO DIECI ANNI dopo ne assunse anche la direzione artistica, primo nella storia della compagnia, il percorso di generale rinnovamento impresso da Levine al Met era già avanzato, grazie anche agli sforzi profusi nell’interregno fra la dipartita del general manager Rudolf Bing nel 1972 e l’arrivo di John Volpe nel 1980, con cui proseguì il suo operato: da scintillante scrigno per cantanti celebri, il Met si qualificò sempre più come teatro dagli ottimi complessi corali e orchestrali, con un crescente numero di produzioni quantomeno più originali e moderne rispetto al passato, ma soprattutto un repertorio notevolmente arricchito, da Idomeneo a Moses und Aaron, da Stiffelio, a Lulu a alcune opere contemporanee. Appassionato conoscitore del teatro musicale e lavoratore instancabile, Levine nella sua carriera al Met ha iniziato con la ‘vecchia guardia’ dei grandissimi, offrendo poi la stessa cura e intensità di esecuzione alle generazioni successive, in centinaia di recite, molte catturate dal disco o dal video.
Oltre al felice rapporto con la discografia, con un lascito di ottimo livello, dalla Giovanna D’Arco con Caballé, Forza del Destino e Tosca con Price e Domingo, Andrea Chenier con Scotto e Domingo, Evgenij Onegin con Freni.
FONDAMENTALE poi fu l’impulso dato a partire dalle fine degli anni ’70 alle dirette tv dal Met, grazie ai quali oggi rimangono preziose testimonianze come Manon Lescaut di Puccini con Scotto e Domingo, Ariadne auf Naxos di Strauss e Les Troyens con Jessye Norman, un primo Ring di Wagner con la regia di Otto Schenk e un secondo, condiviso con Luisi nel nuovo secolo, regia di Lepage, ma anche le leggendarie recite di Elektra di Strauss con Nilsson e Rysanek e l’addio alle scene di Leontyne Price in Aida. La sua più fruttuosa presenza fuori dal Met, dove regnava con potere incontrastato nonostante il crescere di alcune critiche a partire da metà anni ‘90, resta il ventennale rapporto con il Ravinia Festival, sede estiva dell’Orchestra Sinfonica di Chicago, mentre le direzioni ai Filarmonici di Monaco e alla Boston Symphony Orchestra, hanno evidenziato una personalità di interprete sinfonico forse meno incisiva, benché restino rilevanti le presenze a Vienna e a Salisburgo, come il passaggio a Bayreuth con Parsifal.
AVVILENTE e malinconica la conclusione della sua vicenda professionale, segnata da un inarrestabile declino di salute e dal violento scandalo per varie accuse di molestie sessuali – mai però approdate in sede giudiziaria - cui è seguita un’aspra battaglia legale con il Met, che lo ha prima sospeso e poi licenziato nel 2018, concludendo infine con il direttore un oneroso accordo stragiudiziale.

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