INTERNAZIONALE

Cina e Usa «ripartono» dall’Alaska

«RESET SUMMIT» DOPO UN PERIODO DI FORTI TENSIONI
SIMONE PIERANNI usa/cina/alaska/Anchorage

Oggi in Alaska, ad Anchorage, ci sarà il «restart summit» tra Usa e Cina. Si incontreranno il segretario di Stato Antony Blinken e il consigliere per la sicurezza Jake Sullivan e il membro del Politburo e braccio destro di Xi, Yang Jiechi e il ministro degli esteri Wang Yi.
Come ha voluto rimarcare Pechino, si tratta di un incontro maturato a seguito di un invito di Washington. Nell'annuncio cinese si poteva già notare un elemento dissonante rispetto alle parole pronunciate negli Usa.
LA CINA HA DEFINITO il summit come un «dialogo strategico»; Washington aveva specificato che «non sarà un dialogo strategico». Anche per questo le aspettative non sono alte: la voragine tra i due paesi creata dall'amministrazione Trump pare troppo ampia e in definitiva il meeting non nasce con auspici capaci di ispirare una svolta nella apparente fascinosa Anchorage.
Conta infatti come i due paesi arrivano a questo incontro che ha tutte le sembianze di un'occasione per annusarsi, per capire se alcune modalità di comunicazioni erano vere o solo ad uso interno (e questo vale sia per gli Usa sia per la Cina) e per capire qual è il nuovo perimetro di partenza per rinnovate relazioni. L'intento di Biden è palese: contenere la Cina con una sorta di modello ibrido; da un lato non lesina provocazioni, benché con meno enfasi di quanto non facesse Trump.
VANNO IN QUESTA DIREZIONE alcune uscite pubbliche e il viaggio dei suoi inviati in Asia, con tappe rilevanti a Tokyo e Seul, due capitali da riportare a casa in termini di alleanze, dopo che Trump li aveva scacciati, chiedendo pure il conto (l'accordo per le spese per le truppe americane sul territorio coreano è stato raggiunto).
QUINDI, CONTENIMENTO geopolitico obamiano e mano pesante sulle questioni legate ai diritti umani: la dimostrazione è la decisione - arrivata ieri - di sanzionare i funzionari cinesi per la questione di Hong Kong. La vera novità di Biden è sul fronte commerciale: il decoupling non converrebbe agli Usa, così come non converrebbe una continuazione dello scontro commerciale come negli ultimi due anni.
AL DISACCOPPIAMENTO si contrappone la strategia definita «small yards, highe fence», ovvero recintare quei settori determinanti per la sicurezza nazionale in modo invalicabile, lasciare il resto al mercato. Non tutti i prodotti tecnologici sono uguali, non tutte le aziende americane possono fare a meno del motore economico cinese. Ma è difficile che su questi temi arrivino già passi avanti in Alaska. La Cina infatti parte con la sua consueta determinazione, e c'è da credere che Xi e il suo entourage siano memori di come l'accordo «di fase uno» avesse fatto storcere il naso all'opinione pubblica del paese, delusa da alcune concessioni. Ma oggi la Cina è già un'altra cosa. La «vision 2035» proclamata durante l'appuntamento legislativo annuale pone in evidenza la nuova fase dello sviluppo cinese. La «doppia circolazione» di Xi anticipava già la strategia di Biden così come le nuove parole d'ordine «tecnologia» e «autosufficienza» sembrano suggerire un percorso di separazione delle filiere tecnologiche.
C'È DA AUGURARSI, però, che in Alaska si possano trovare alcuni punti anche in comune: su tutti c'è sicuramente la questione legata al clima e all'inquinamento. Biden ha riportato gli Usa nel fronte della lotta ai cambiamenti climatici, la Cina ha fissato per il 2060 l'obiettivo «zero emissioni». Le due potenze potrebbero condurre le danze sul tema, pur consapevoli delle proprie differenze politiche e in relazione agli sviluppi economici, sempre che i tanti fronti in cui sono contrapposti non abbiano la meglio, riducendo così il confronto a un mero scontro. Il rischio in quel caso è che per procura ci finisca in mezzo qualche altro paese, come la storia ci ha già abbondantemente insegnato. 

S.PIE.

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