La storia moderna della Somalia è un turbine di indipendenza, prosperità e democrazia negli anni '60 e di dittatura militare dagli anni '70, seguita da un disperato declino, regolato da una sanguinosa guerra civile e dal conseguente caos politico. L'effetto immediato della guerra è stato quello di disperdere il popolo somalo nei campi profughi e nei Paesi limitrofi.
Facente parte di una più ampia costellazione di attori internazionali che hanno invano cercato di stabilizzare il Paese per anni, l’Italia, dopo quasi mezzo secolo di colonizzazione, è stata in prima linea nelle disastrose missioni di peace-enforcement in terra somala.
Né la famosa operazione Restore Hope né la successiva Unosom II hanno risposto al problema fondamentale della Somalia, una crisi politica caratterizzata da disaccordi sulle strutture di governance, mancanza di riconciliazione e nutriti conflitti armati. Il tutto inoltre accompagnato dallo spettro di 500.000 somali morti per fame solo nell'autunno del 1992.
Un'ondata di aiuti delle Nazioni Unite, a partire dagli anni '90 ha portato all'implacabile crollo dell'agricoltura somala e ha ridotto di fatto i contadini alla povertà. Con il profondo collasso del governo, la popolazione somala è tornata ad appoggiarsi alle proprie tribù, clan e sottoclan, per riempire il vuoto, come lungimirante forma di assicurazione.
L'insicurezza, la mancanza di protezione e garanzie da parte dello Stato e le ricorrenti crisi umanitarie oggi hanno un impatto devastante sui civili somali. Il numero di sfollati interni raggiunge i 2,7 milioni, molti dei quali senza alcuna assistenza e a grave rischio di abusi, soprattutto confinati nelle conflittuali regioni meridionali.
Secondo i dati dell’Onu le forze di sicurezza continuano a usare violenza contro i civili durante le lotte interne, per il controllo dei posti di blocco, per le operazioni di disarmo, in particolare nella regione di Benadir, con la sua capitale Mogadiscio, e nella regione del Basso Scebeli. Le agenzie di intelligence a livello federale, nelle regioni settentrionali, continuano arbitrariamente ad arrestare e detenere civili per periodi prolungati, senza accuse né accesso a consulenti legali o familiari. I tribunali militari reiterano procedimenti che sono molto lontani dagli standard internazionali del processo equo. Il governo non ha ancora compiuto progressi tangibili nella gestione delle forze di sicurezza abusive, in particolare in merito all'agenzia dei servizi segreti.
Gravi abusi, reclutamento forzato, esecuzioni arbitrarie, spionaggio, minacce sono il terreno fertile in cui si muove il gruppo al-Shabaab. I feroci attacchi del movimento di matrice sunnita contro civili e infrastrutture, usando ordigni esplosivi improvvisati, attentati suicidi e bombardamenti, in particolare nelle regioni meridionali somale, si sono ormai trasformati in regola.
Sono passati più di nove anni da quando il Kenyan Defence Force (Kdf) ha dato il via all’operazione Protect the Country sul confine somalo. Non ci è voluto molto perché il coinvolgimento unilaterale del Kenya fosse assorbito, e retrospettivamente legittimato, dalla missione Amisom. Ciò ha conferito al Kdf un mandato più definito: sradicare al-Shabaab e sostenere il Governo Federale della Somalia, internazionalmente riconosciuto con sede a Mogadiscio. Con quartier generale di fatto nella città di Kismayo, le Forze di Difesa del Kenya, piuttosto che sostenere la lotta contro al-Shabaab, sono in realtà impegnate in pratiche commerciali corrotte con l'amministrazione semi-autonoma dello Jubaland e gli estremisti stessi. Un perfetto esempio dell'intersezione tra crimine organizzato e politica, con costi di gestione coperti dai donatori internazionali che finanziano Amisom.
f. i.