CULTURA

Il conquistatore del tempo

«In difesa di don Giovanni. Mitobiografia di una femminista» di Luisa Passerini, per manifestolibri
SILVIA NUGARAITALIA

Si può essere femministe e coltivare interesse per quella che è considerata una figura di seduttore senza scrupoli? Nella sua ultima fatica narrativa dal titolo In difesa di don Giovanni. Mitobiografia di una femminista (manifestolibri, pp. 271, euro 20), Luisa Passerini ci dice che quando abbiamo una «fissazione» vale la pena interrogarla e la sua, per trent’anni, è stata don Giovanni.
Nell’incipit del libro, la voce del mito sollecita l’io narrante a dedicargli finalmente uno studio: «Lo so che mi ritieni estraneo al tuo lavoro di ricercatrice e docente, anzi hai paura che guasti ulteriormente la tua figura pubblica, già messa alla prova da alcuni tuoi libri e atteggiamenti. Però ormai sei in pensione da tempo… O forse temi che la mia fama sia incompatibile con la tua reputazione di femminista?». Nel corso di un confronto acceso, emergono le radici dell’interesse per un personaggio il cui vitalismo ricorda alla narratrice il proprio padre ma è soprattutto l’emblema di un’epoca – gli anni ’60-’70 – da lei vissuta divorando l’esistenza.
L’indagine su un mito che coniuga seduzione seriale e sfida al divino può dunque trasformarsi in un’occasione per ripensare agli anni della contestazione con il distacco dell’età nonché dalla prospettiva di sentimenti pubblici attuali, come la prostrazione e la stanchezza, che differiscono molto da quelli di un tempo in cui, per citare un precedente libro della stessa Passerini, La fontana della giovinezza (Giunti, 1999), si mangiava e dormiva molto meno di adesso «come se le energie provenissero dall’interno e non dall’esterno».
L’AUTRICE SCEGLIE di «conciliare il mestiere e la passione» utilizzando la storia orale come metodo per comporre un’indagine mitografica corale che comprende la sua stessa voce. Luisa Passerini è infatti una figura di riferimento della storia contemporanea e della storia orale a livello internazionale, autrice di studi che incrociano fonti parlate, scritte, visive per indagare le forme e i processi di costruzione della memoria tra soggettività e intersoggettività. Ha studiato il cambiamento sociale e culturale nel XX secolo occupandosi di lotte di liberazione anticoloniale, di donne nella Resistenza, nel terrorismo, nell’integrazione europea, di persone con un passato o un presente di migrazione. Ma oltre alla scrittura accademica, ha praticato anche la prosa creativa, più propizia all’incontro intersoggettivo.
In difesa di don Giovanni è dunque l’ultimo volume di una trilogia sulle età iniziata con Autoritratto di gruppo (Giunti, 1988) e proseguita con La fontana della giovinezza: «Avvertivo l’urgenza di completare un percorso di scrittura (personale e generazionale) che cercasse di comprendere alcune relazioni tra la singola e il suo tempo, in rapporto con le età della vita intese non in senso biologico ma esistenziale e politico. Come una testimonianza da portare a termine nell’ultima parte della vita».
Con il terzo volume, torna la prima persona abbandonata nel secondo («la prossima volta che scriverai cose di questo genere dovrai farlo alla terza persona!», le aveva consigliato un’amica dopo la lettura di Autoritratto) ma l’io narrante non è completamente sovrapponibile a quello dell’autrice in quest’opera polifonica, popolata di personaggi e costruita come un antico teatro con trompe l’œil e porte segrete che conducono dalla realtà alla sua trasfigurazione.
In difesa di don Giovanni è invero uno strano oggetto narrativo.
È UN RACCONTO DI VIAGGIO che, in virtù di un nesso antico tra conoscenza e mobilità, si snoda attraverso successivi spostamenti e incontri tra Torino, Venezia, Firenze, Parigi, Berna e New York. Si tratta però anche di un conversation piece denso di dialoghi che impiegano creativamente lo strumento intervista e l’analisi conversazionale. Inoltre, è una meditazione su «quel che resta del giorno» sulla scia della critica alle immagini tradizionali dell’invecchiamento delle donne intrapresa ne La fontana della giovinezza e nei lavori del gruppo di studio che pubblicò Vecchie allo specchio (Cirsde, 2008 reperibile online e curato con Edda Melon, Luisa Ricaldone e Luciana Spina) e che ha avuto tra i suoi esiti Ritratti di donne da vecchie (Iacobelli, 2017) di Luisa Ricaldone.
DOPO IL DIALOGO INIZIALE, la vicenda parte con un viaggio a Venezia dove la protagonista si reca per seguire le Giornate annuali su Don Giovanni e Casanova. Lì entra in contatto con un gruppo di intellettuali ognuno dei quali rappresenta in forma allegorica un approccio o un filone di ricerca documentato alla fine del volume.
C’è il gesuita mozambicano Silveira che studia gli aspetti teologici dell’antica storia di Leonzio, allievo di Machiavelli dannato per il suo ateismo, con cui la narratrice discute della possibilità di coniugare laicità e spiritualità trovando il divino dentro di sé o nel rapporto con gli altri senza cedere alla scelta obbligata tra dannazione e conversione. C’è Emilia, cattolica di sinistra che situa don Giovanni in un crocevia tra cultura euro-mediterranea e folklore nord-continentale, tra storie di seduzione e miti sulla sfida all’ultraterreno secondo cui, sul piano storico, la questione del pentimento o della consapevolezza del peccato potrebbero trasformarsi in interrogativi riguardo alla costruzione di una memoria collettiva che non risulti né celebrativa né liquidatoria di esperienze passate come quella sessantottina.
C’È L’ATTRICE DI PROSA napoletana, impegnata nell’allestimento di uno spettacolo sul Burlador da Tirso de Molina a Molière a Edmond Rostand, che privilegia il filone di riflessione sulle donne incontrate da Juan/Giovanni e sui loro spazi di autonomia e di espressione soggettiva. C’è lo scrittore egiziano Ahmad che insegna negli Usa e si occupa di rielaborazioni coloniali e postcoloniali del mito. Sullo stesso argomento, il collega belga Etienne studia il Dom Juan di Molière ispirato ad Alessandro Magno in cui il tema della conquista assume contorni di tipo più territoriale.
Attraverso i dialoghi che si intrecciano tra questi rappresentanti di una intellighenzia globale in costante mobilità tra università, centri di ricerca, convegni, festival, il libro traccia il profilo di un mito proteiforme che si sottrae alla fissità: dalla tradizione orale quattrocentesca a Goldoni, da Mozart/Da Ponte a Byron, da Hoffmann a Saramago, da Kierkegaard all’Odin Teatret, da Paul Klee a Joseph Losey, da Errol Flynn a Johnny Depp, da Fred Buscaglione all’orchestra di piazza Vittorio. Se don Giovanni oggi è identificato da espressioni come dongiovannismo con la sola seduzione seriale, il libro mette in luce anche altro: «la mia idea per questo repertorio era di capire perché una femminista può mettere la figura di don Giovanni alla base della sua mitobiografia – cioè un mitologema che comprende il correre contro il tempo, non invecchiare, amare senza obblighi, non pentirsi e non tradire se stessi… Volevo sfuggire al mito di don Giovanni come dominante nascosta della mia vita e allo stesso tempo sottrarlo alle interpretazioni riduttive secondo cui è soltanto un esempio di violenza maschilista».
PER PASSERINI, difendere don Giovanni significa confrontarsi con la complessità, misurare la distanza dal proprio passato senza rinnegarlo ma conservandone la gioia e l’irrequietezza, il potere di eversione, di rovesciamento della morale classista e puritana. Fino ad azzardare sul finale l’idea che oggi don Giovanni possa essere difeso realmente solo da un soggetto libero di spostarsi, di mescolare e confondere il femminile e il maschile, «un punto di vista trans, nel senso che transita da una posizione del soggetto all’altra».

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