CULTURA

Una favola dal gusto disobbediente

La postfazione di «Pinocchio alla rovescia» di Rubem Alves, da oggi in libreria
PAOLO VITTORIA brasile

Il sipario si chiude, le luci sono spente, la scena resta vuota, l’atmosfera irreale, ma viva, aperta nell’anima grazie alle parole del narratore: uno degli ispiratori della teologia della liberazione, autore poliedrico, educatore, psicoanalista, scrittore di libri per l’infanzia, Rubem Alves, con Pinocchio alla Rovescia (che esce oggi per la casa editrice Marietti 1820, ndr), crea una favola non convenzionale, in cui crolla la trama del confronto tra bene e male che canonicamente vedrebbe come epilogo il colpo di scena finale e la vittoria del bene.
LA DOPPIA, o meglio, complessa ed enigmatica morale del Pinocchio rovesciato da Rubem Alves sta proprio nella lettura delle vicende che si svolgono nei profondi e misteriosi meandri della psiche per cui è davvero difficile, se non impossibile, dare un’interpretazione univoca. Felipe, il protagonista della favola, porta con sé tracce della coscienza di Pinocchio, dipartita tra ciò che si vuol essere e quello che gli altri si aspettano da noi, tra l’obbedienza ad una ragione in cui non ci si riconosce e il senso di colpa per disattendere le aspettative di chi rappresenta quella ragione. È, in realtà, il senso di colpa, e non la convinzione delle proprie idee, che farà cambiare strada a Felipe. Ecco perché Rubem Alves invita docenti, educatori, psicologi, soprattutto genitori a leggere questa storia.
Del resto, sono le figure adulte ad essere messe continuamente in crisi dalle domande di Felipe, perché sono semi di poesia e la poesia ha il potere di metterci in crisi, se la accettiamo nella nostra vita.
AD ESSERE VITTIMA della storia in realtà, più dello stesso Felipe, sembrano essere i genitori e la loro ideologia inconsapevole. In varie parti del racconto appaiono come un pugile suonato dai colpi delle domande del figlio e sembrano essere completamente all’oscuro del fatto che non ne stanno accogliendo la curiosità.
«Cosa fa il mare quando andiamo a dormire?» «Chi ha inventato le parole?» chiede Felipe: «Che cosa farai quando crescerai?» gli chiede il padre. Quando Felipe realizzerà l’aspettativa che il genitori e la scuola hanno su di lui, perderà la sua attesa del mondo da conoscere.
SE FELIPE CERCA la sua realizzazione nell’essere, il padre che lo ama e che vorrebbe il meglio per lui, ambisce all’avere, possedere un bene simbolico, come il tanto ambito diploma. La famiglia e la scuola hanno una visione del futuro già tracciata come solcata da binari da cui non si può deviare.
Tutto ben incasellato in tappe di vita. Felipe quei binari non li vede proprio, ama sognare, ama volare col pensiero seguendo le ali degli uccelli, ama guardarsi attorno, ama vedere il mare di notte e la luna che piano piano si fa sempre più esile.
Felipe va oltre la conoscenza che la scuola gli confeziona, scuola da cui non è compreso e che – assoggettata a criteri burocratici della valutazione e all’ansia della diagnosi – lo certifica come affetto da «disturbo dell’attenzione».
IL CAMBIAMENTO, anzi la metamorfosi di Felipe, si ha proprio in conseguenza della diagnosi. È il passaggio decisivo che lo porta ad essere altro: un oggetto estraneo alla sua stessa anima. Non è solo la scuola indifferente, ma anche la psicologia della normalizzazione che finisce col diagnosticare come patologico tutto quello che si svia da una normalità decisa e istituita da altri. Felipe si trova in un sistema che lo comprime, non gli resta che adattarsi, perdendo lo sguardo di occhi che «sono sempre curiosi, vogliono vedere ciò che è nascosto, vogliono sapere cosa c’è dietro le cose».
Tutto si capovolge, si rovescia ed è il paradosso di una coscienza divisa, frammentata. Il bambino che amava il volo degli uccelli, amava domandare, voleva mettere i voti ai professori ... diventa oggetto di un futuro predeterminato e smarrisce l’incanto delle sue domande. Qui evidentemente c’è un critica diretta a un modello di scuola oggetto della mercificazione, chimera del mercato ed è innegabile come questa ideologia, spesso inconsapevolmente veicolata dai genitori e i docenti, invada in forma dominante la mente degli studenti, portando ad ansia e frustrazione.
Una notte Felipe sognò di essere un uccello che volava in una foresta insieme a centinaia di uccelli che intonavano canti diversi, sognava di far parte di una corsa in cui non ci sono vincitori e vinti. Poi, i suoi sogni si trasformano bruscamente in incubi: il corvo impone a tutti di cantare allo stesso modo, gli uccelli prigionieri in gabbie separate ed è chiaramente la metafora di una scuola in cui la conoscenza ingabbia piuttosto che dare libertà ai pensieri, all’essere, ai sogni, al diritto di costruire una propria vita.
LUCI E OMBRE, giorno e notte, coscienza e inconscio, veglia e sonno, sole e luna sfumano e si incrociano nel mondo di Felipe: i suoi sogni sono rappresentazioni di condizioni esistenziali, ben più ampie della sua stessa vicenda. Sono metafora del perdersi nel labirinto della coscienza. Improvvisamente si scorge un bivio: una strada è quella di essere guardiani di un sistema scolastico precostituito e ordinato in programmi, contenuti, tabelle, voti; un’altra strettissima, ardua, in salita, è quella di essere maestri che insegnano a volare sulle proprie ali, ascoltando il ritmo della propria anima. Non ci resta che scegliere…

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