CULTURA

La resistenza spirituale cólta nel «viaggio in Italia»

DIARIO 1949-50
ENRICO PAVENTIITALIA

Tradotto per la prima volta in italiano grazie alla meticolosa curatela di Gabriele Picard e Mauro Stenico, Mondo distrutto e mondo indistruttibile. Viaggio in Italia (Marietti 1820, pp. 250, euro 18) è un diario nel quale Max Picard (1888-1965), il filosofo svizzero di origine ebraica, racconta un viaggio fatto nell’Italia centro-settentrionale nel dopoguerra - tra il 1949 e il 1950 - con la corriera, in tram, a piedi e in treno: dunque, si direbbe forse oggi, all’insegna di una voluta e accentuata lentezza.
VA OSSERVATO, in primo luogo, come durante le numerose tappe del suo itinerario l’Autore instauri un dialogo pressoché ininterrotto con operai, commercianti, studiosi, contadini, poeti, pittori e religiosi, da cui ricava un gran numero di stimoli e suggerimenti. Occorre poi aggiungere come il suo sguardo riesca a cogliere i tratti di un Paese che sta sì per distruggere dissennatamente un patrimonio monumentale e umano probabilmente unico al mondo ma che, nel contempo, si oppone risolutamente all’azione di quella furia annientatrice. L’efficace sintesi costituita dal titolo dell’opera sembra proprio volta a sottolineare l’intensità di questo contrasto. Osserva al riguardo, nella Prefazione al testo, Silvano Zucal: «L’indistruttibile “italiano” continua a vivere all’interno del distrutto: questo è còlto a partire da episodi o da volti, può rivelarsi in dipinti o in edifici, in centri urbani o paesaggi naturali, e genera, a propria volta, il risveglio di un “indistruttibile” presente nella nostra stessa persona. Germe prezioso di resistenza spirituale».
A proposito poi del «viaggio in Italia», appare interessante metterne in rilievo un aspetto: con questo scritto Picard fornisce il suo contributo a quello che può essere considerato un vero e proprio genere letterario. Come sappiamo, infatti, nel corso degli ultimi secoli l’Italia è stata visitata da un enorme numero di artisti, poeti, narratori, compositori: da Goethe a Stendhal, da Montesquieu a Longfellow fino a Pound. Le descrizioni e osservazioni che ci hanno regalato hanno avuto per oggetto tanto le bellezze quanto le miserie della «loro» Penisola, meraviglie e brutture che - grazie alle «loro» pagine - abbiamo l’abitudine di ripercorrere periodicamente. È quanto ci offre anche questo libro, che costituisce in primis un’importante testimonianza di carattere storico e ci dà nel contempo la possibilità di riflettere su un’Italia che non esiste più, dal momento che il Paese stava iniziando la sua gigantesca, problematica trasformazione proprio allora e dunque avrebbe assunto ben presto connotati del tutto diversi.
UN CAMBIAMENTO radicale che era stato peraltro anticipato da rilevanti mutamenti avvenuti sul fronte del linguaggio: Picard ne denuncia il degrado, anche se dà l’impressione di nutrire delle speranze nei confronti dell’«indistruttibile italiano» che continua a vivere in tutto ciò che è andato perduto e rappresenta perciò un elemento capace di opporsi alla rovina.
Riguardo infine alla scrittura, appare importante mettere in rilievo come il filosofo utilizzi un linguaggio piano, che non si avvale cioè di alcuna terminologia tecnica, un lessico essenziale e un tono discorsivo, nell’ambito del quale le ripetizioni conferiscono alla narrazione una notevole forza e vivacità. Il ritmo, lento e costante, dà inoltre al racconto un carattere pacato e suggestivo: due peculiarità che, insieme alle altre, rendono il diario di Picard un testo stimolante e meritevole di grande attenzione.

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