CULTURA

Nelle contraddizioni di un conflitto disarmato

SCAFFALE
SIMONE OGGIONNIITALIA

L’ultimo lavoro di Pietro Folena (Servirsi del popolo, La nave di Teseo, pp. 224, euro 18) è una colta e accurata ricognizione della storia del populismo italiano. Una sorta di piccolo manuale degli ultimi trent’anni che si relaziona con la letteratura più recente e convincente (Revelli, Diamanti e Lazar, Corbetta, Urbinati) e che non disdegna incursioni nella prefigurazione del prossimo futuro.
LA DOMANDA DI FONDO è: come è possibile che l’Italia, il Paese che aveva dato vita ai partiti popolari più organizzati e strutturati d’Europa, sia diventata nell’arco di tre decenni una delle punte più avanzate del discorso populista europeo? La risposta segue due tracce: da un lato accompagna i passaggi che si susseguono sulla linea del tempo, a partire dai populismi primigeni, quello videocratico di Forza Italia e quello giustizialista di Di Pietro (tra loro tecnicamente speculari) infine quello micronazionalista della Lega di Bossi. Dall’altro lato indaga prima le grandi radici e poi le grandi svolte che spiegano le sue fortune.
Le radici: il crollo del Muro di Berlino, e quindi la fine dello strano ma per molti versi perfetto equilibrio tra blocchi; la ripresa dell’integrazione europea sotto l’egida di un rigoroso impianto monetarista; la crisi verticale di credibilità dei partiti, di cui Tangentopoli è conseguenza e al contempo epifania.
Le svolte, i passaggi topici successivi alle tre radici, ne costituiscono lo sviluppo degenerativo: la fine del comunismo che si trasforma in rimozione; l’impianto monetarista che - soprattutto di fronte alla crisi dei debiti sovrani - radicalizza l’impasse della Ue; una involuzione sempre più evidente dei partiti dopo la svolta del biennio ’92-‘94 che, lungi dal determinare una nuova Repubblica dei cittadini (Scoppola), acuisce lo iato tra politica e società.
In questi nuovi tornanti la slavina - caricata dai successi, sia pure parziali, dei primi populismi - diventa più potente, conformando alla grammatica populista la quasi totalità del panorama politico italiano. Assistiamo ai fenomeni paradigmatici del grillismo, del renzismo e del nazional-populismo della Lega di Salvini. Il popolo (inteso come privo di contraddizioni) diventa il riferimento pressoché univoco di una comunicazione politica che si fa via via più banale e aggressiva e i partiti diventano sempre più strumenti nelle mani dei leader.
Folena ci dice che siamo figli di questo tempo e che la responsabilità di questa transizione speciosa è anche in capo a noi. Di una sinistra che, avendo smarrito la capacità di vivere nella società, si è chiusa nei suoi centri di potere, pensandosi al sicuro. Che, avendo perso la capacità di leggere le contraddizioni della vita reale, ha abbandonato una lettura del mondo fondata su ciò che davvero fonda il modo di produzione capitalistico, cioè il conflitto tra lavoro e capitale. E che, avendo perso l’orientamento, ha introiettato la narrazione disponibile a buon mercato del basso contro l’alto e, invece che aprirsi al basso, si è mimetizzata nell’alto. Si tratta del compiersi di un processo di abbandono del popolo, di disarmo dal campo del conflitto.
SI PUÒ INVERTIRE la tendenza? Si può incidere nella transizione? Torna al centro la questione delle forme possibili della politica e dei partiti, come strumenti in grado di prendere per le corna il toro populista. Affermando, contro la disintermediazione, una nuova forma di mediazione sociale; contro il leaderismo la costruzione democratica di gruppi dirigenti credibili e contro la logica ristretta del governo per il governo (di partiti come comitati elettorali permanenti) una nuova idea e pratica del partito come leva per spingere la società dentro processi progressivi.
Folena ci offre indicazioni utili per affrontare il populismo: declinarlo al plurale, cimentarsi con l’analisi differenziata, cogliendo le sfumature, senza spocchia ma con curiosità intellettuale, indagare le cause, non fermarsi alla superficie.

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