CULTURA

Industria editoriale, tra ottimismi e (molti) debiti

Express
MARIA TERESA CARBONEitalia

«Quello che è successo quest’anno... beh, se fosse un romanzo, direi che c’è un po’ troppa trama»: interpellato da Hillel Italie dell’agenzia di stampa Associated Press per un bilancio sul mondo del libro nel 2020, Jonathan Karp, da maggio scorso amministratore delegato della casa editrice statunitense Simon & Schuster, se l’è cavata con una battuta spiritosa. Ovvio riferimento agli effetti della pandemia sulla filiera editoriale o allusione non troppo velata all’accordo in base al quale nel 2021 il marchio di cui Karp è al comando sarà inghiottito dal pesce più grosso, Penguin Random House?

Come che sia, è certo che negli ultimi dodici mesi tutti, ma proprio tutti, abbiamo avuto «più trama» di quanto fossimo pronti a ricevere. Eppure Lisa Lucas, attuale direttrice della National Book Foundation, prima donna nera a ricoprire questo ruolo, e presto responsabile di due sigle di grande prestigio, Pantheon e Schocken Books (anche queste in territorio Penguin Random House) si dichiara ottimista, perché – dice a Hillel Italie – nel 2020 i libri si sono rivelati «resilienti e l’industria editoriale ha mostrato una grande volontà di cambiamento per quanto riguarda la diversità al suo interno».
Differente la prospettiva di Jill Schoolman, la cui casa editrice, Archipelago, indipendente e no-profit, pubblica grandi nomi della letteratura mondiale, da Hrabal a Gombrowicz a Cortázar (e tra gli italiani, un curioso Moscardino di Enrico Pea nella traduzione di Ezra Pound): «È durissimo sopravvivere, le entrate sono scarse e abbiamo debiti con gli stampatori».
Schoolman non è la sola a guardare con preoccupazione all’andamento dei suoi conti. Lo stesso pensiero accomuna tanti, di questi tempi, e senza dubbio i lettori sudcoreani: nel 2020 il libro più venduto nelle tre maggiori catene di librerie del paese è stato infatti un manuale intitolato (più o meno) Avere. L’arte segreta di sentirsi e di diventare ricchi di Lee Suh-yoon e Hong Joo-yun, a cui si sono affiancati, nelle posizioni alte della classifica, La natura del denaro di Kim Seung-ho e I sistemi di John Lee per costruire ricchezza.

Lo scrive sul Korea Times Kwon Mee-yoo segnalando che quest’anno notevole successo hanno riscosso nella Corea del Sud pure i ricettari, lettura ideale per chi è costretto a restare chiuso in casa per giorni e settimane.
Chi della cucina, dei soldi e perfino del Covid pare disinteressarsi completamente, sono i lettori irlandesi che hanno incoronato numero uno della classifica 2020 Where the Crawdads Sing (in italiano La ragazza della palude, Solferino), romanzo d’esordio della zoologa settantenne Delia Owens, già libro più venduto negli Usa nel 2019, otto milioni di copie macinate in tutto il mondo – e di queste, in Irlanda, 55.039 alla fine di novembre, secondo i dati dettagliatissimi forniti da Martin Doyle sull’Irish Times. Al posto numero 2, piuttosto distanziato da Owens con 48.149 copie vendute, si piazza un altro bestseller a sorpresa, The Boy, the Mole, the Fox and the Horse (Il bambino, la talpa, la volpe, il cavallo, Salani) del disegnatore londinese Charlie Mackesy.
Nato inizialmente come account Instagram, questo «libro illustrato con messaggi inspirational», come lo descrive Doyle, è stato il titolo più venduto nel Regno Unito, mentre nell’isola di smeraldo si è affermato come «l’opera più lucrativa dell’anno, con vendite per 634.033 euro». (E se queste cifre, come quella relativa alle vendite di Owens, vi sembrano basse, ricordate che l’Irlanda ha meno di cinque milioni di abitanti e per fare un paragone con l’Italia, bisognerebbe moltiplicare tutto per 10 o per 11).

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