VISIONI

Brasile, antiche istanze da recuperare

Al Tff «La casa de antiguidades» di J.P. Miranda, esordio che trova ispirazione nel Cinema Nôvo
SILVANA SILVESTRIBrasile/ITALIA/torino

In più di un film della nuova generazione di cineasti brasiliani si è sentita l’eco lontana del sertão e delle misteriose divinità, santoni e poveri eroi, mai però in maniera così decisa come in La casa de antiguidades di João Paulo Miranda (classe ’82). La casa comune è il Cinema nôvo di Glauber Rocha ambientato nel desolato nord del paese, come ci indica subito la presenza di Antonio Pitanga oggi ottantenne, che fu protagonista di Barravento di Rocha e di O pagador de promessas di Duarte, prima Palma d’oro brasiliana a Cannes nel ’62.
CHE SI PARLI dei giorni nostri è evidente dal discorso del boss della fabbrica di latte e derivati arrivato dall’Europa per innovare in un periodo di grande crisi, comunicando il trasferimento della fabbrica al sud. A paga ridotta naturalmente e chi rifiuta non avrà neanche la pensione. L’operaio (Pitanga) già avanti negli anni ascolta la lunga comunicazione in tedesco senza capire una parola ed eccolo già al lavoro, mite e sottomesso, in tuta bianca in un ambiente opalescente, fantasmatico, come un passaggio nell’aldilà. La sua pelle scura non appare nel biancore della tuta, indossandola tutti gli uomini sono uguali. Ma si fa notare, arrivando al sud, in una località che sembra una landa germanica, con abeti, montagne e quella lingua sconosciuta, con istanze di separatismo e armi da fuoco pronte a sparare. Nell’unico ritrovo del posto, dismessa la tuta, il razzismo non si fa attendere. Ma lui la sua casa dei ricordi, la casa de antiquidades la trova in quel bosco tirolese, è una capanna abbandonata dove già qualcuno ha abitato e dove trova un giorno dopo l’altro degli oggetti familiari o enigmatici, che non lo fanno più sentire spaesato, ma lo portano un po’ alla volta in una spirale, in un delirio, mentre intorno succedono sparizioni e crimini silenziosi.
SOLITARIO, è il bersaglio preferito dai ragazzini e dagli adulti, sbeffeggiato anche dai pochi abitanti creoli come lui (la bella del bar, la madre), tra una folla che sembra uscita da una di quelle enclaves sorte nel dopoguerra, composte da migranti del nazismo e presenti in latinoamerica fino a non molti anni fa (shorts di pelle, cani lupo alla gamba, fucili, chalet sullo sfondo, non siamo riusciti a entrare per saperne di più, ci hanno allontanato, in Cile). In Brasile, ci dice il regista, esiste una colonia simile, fondata nel dopoguerra da austriaci fuggiti dall’Europa che hanno conservato gli abiti tradizionali come si vede nel film che è una metafora del Brasile di oggi con il suo sovranismo diffuso, neoliberalismo selvaggio, razzismo e violenza. Non vi è nessun proclama nel film, tutto è lasciato alle libere associazioni dello spettatore, il racconto si sviluppa per successive immagini e suggestioni che rendono drammaticamente l’impotenza del povero campesino, di fronte alla realtà che vive. Gli oggetti della tradizione tropicale compongono una metafora del Brasile contemporaneo, attraverso apparizioni e sparizioni, in un crescendo di delirio che lo porta a ricomporre la sua origine di cow boy del sertão, a trasformare se stesso in una vittima, un toro morente, ma non leggendario, né orgogliosamente vinto: un corno di cartapesta staccato dalla testa ne indica tutta la vulnerabilità, il decadimento.
SELEZIONATO alla Semaine de la critique di Cannes 2020, ed ora in concorso al Torino Film Festivalè un film che persegue l’ambizione di dialogare con i grandi autori, come afferma il regista, i grandi del cinema brasiliano e delle nouvelles vagues, Un film sulla memoria persa e ritrovata: «vedo un grande pericolo nella perdita di memoria., dice Joao Miranda, questo film vi fa vedere la complicatissima situazione attuale del Brasile, con la cultura bloccata dal governo Bolsonaro. Il mio protagonista non è tanto un’individuo, quanto rappresenta tutte le diverse generazioni, un universo collettivo».
L’arte e il cinema hanno bisogno di militanti, dice, non c’è arte senza resistenza: «Bolsonaro è stato eletto democraticamente, quindi molti brasiliani sono dalla sua parte, è necessario formare una resistenza in modo profondo. Nel film inserisco conflitti che non sono presi in considerazione dalla politica di oggi, si può immaginare che abbia luogo in altri tempi, ma non è un film d’epoca, parla di una situazione che sta attraversando il Brasile, vuole creare disagio, mostrare quel mix di problematiche che ci attraversano».

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