COMMENTO

Il conflitto d’interessi mette la maschera del Covid

Governo e Mediaset
VINCENZO VITAITALIA

Sembrava impossibile, ma se c’è di mezzo Mediaset l’immaginazione non basta. La relatrice del decreto sul Covid (Valeria Valente, Pd) ha annunciato la presentazione, dopo accoglimento in commissione Affari Costituzionali, dell’emendamento di cui si vociferava.
E del quale, però, anche i più tenaci antiberlusconiani non supponevano l’inveramento. Emendamento che, però, in serata è stato persino approvato a dispetto dei santi.
Si tratta di una norma ultra-specifica volta a tutelare Mediaset da un’ipotetica scalata del gruppo francese Vivendi, dopo che nel settembre scorso la corte di giustizia europea aveva dichiarato illegittima la decisione dell’Autorità per le comunicazioni italiana di limitare al 9,9% la partecipazione della società di Bolloré nell’azienda di Cologno, congelando il restante 19,9%. In attesa delle decisioni del tribunale amministrativo sul ricorso presentato, ecco che entra in scena un emendamento incredibile, costruito su misura per evitare problemi alle imprese di Silvio Berlusconi. Mediaset non si può e non si deve toccare.
Al di là della posizione geopolitica del tycoon di Arcore, quest’ultimo gode di una sorta di diritto speciale. Del resto, da tempo è ritornato a mo’ di padre della patria negli intramontabili talk serali, non più con i vecchi videomessaggi, bensì con lunghe telefonate.
La decisione della Corte di Lussemburgo di considerare decaduto il divieto di detenere più del 10% delle azioni in una struttura televisiva - nel caso di una partecipazione significativa nel comparto delle telecomunicazioni (Vivendi ha il 24% in Tim-Telecom)- richiedeva ben diverso sbocco: la revisione della legge Gasparri del 2004, confluita nel Testo unico del 2005. L’occasione ci sarebbe, ovvero il recepimento della direttiva sui servizi media audiovisivi (Smav), prossimo ormai alla conclusione dell’iter parlamentare. Basterebbe in quella sede scrivere in premessa un’accurata delega al governo.
Invece, no. La scelta ricade sul problema economico contingente di Mediaset di alzare un muro contro gli ex alleati d’oltralpe.
L’emendamento consegna all’Agcom la facoltà di verificare l’opportunità di esercitare un potere di veto: un golden power à la carte. Sarà mai possibile che un’istituzione - sorta per applicare le norme- si voglia prendere il gusto trasgressivo di non esercitare il ruolo previsto dalla legge istitutiva del 1997?
Certamente, se l’emendamento in questione diventerà legge, il varco purtroppo si aprirà. Tuttavia, il prezzo sarà alto e meglio sarebbe che l’autorità alzasse la voce. Comunque, è vergognoso che, mentre si attende la ripresa dell’iter parlamentare sulla regolazione del conflitto di interessi, quest’ultima forma di sopraffazione della legalità viva e vegeti come se nulla fosse. Senza vergogna. Si dice che l’emendamento in causa sia stato sollecitato dai ministri Gualtieri e Patuanelli. Possibile? La risoluzione del conflitto di interessi non era uno dei propositi del governo? Sembrava un cavallo di battaglia del Mov5Stelle e di un partito democratico pentito (apparentemente) degli errori del passato.
E poi, Fininvest-Mediaset rischiano di venire involontariamente colpiti dal fuoco degli amici zelanti. Già, se un domani legittimamente il gruppo decidesse di entrare in qualche grande aggregazione internazionale (Discovery, si sussurra), lo stesso emendamento si metterebbe di traverso.
Attenzione all’eterogenesi dei fini.
Si tolga quel testo da un contenitore inerente alla tragedia della pandemia. Il troppo è troppo.
Finalmente, invece, si rimetta all’ordine del giorno una vera riforma del sistema. Il domani non muore mai, diceva il famoso agente.

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