VISIONI

Nell’America di Trump le risate amare e anarchiche di Borat

14 anni dopo le meditazioni dell’«antieroe» in un paese sull’orlo del baratro
LUCA CELADAusa

Con una proiezione entrata nella storia del Toronto Film Festival nel 2006, Borat ha fatto irruzione nella commedia come un ordigno che declinava il linguaggio del reality in chiave assurdista e ne scardinava i canoni al servizio di un furibondo e anarchico agit-prop. Riprendendo un personaggio rodato nella sua serie satirica per Channel 4 (Da Ali G Show), in quel film Sacha Baron Cohen scorrazzava per la pancia di un America bigotta, esplicitandone le pulsioni più inconfessabili in maniera orripilante e soprattutto esilarante. Quel ruolo lo avrebbe lanciato su una traiettoria hollywoodiana che comprende collaborazioni con Adam McKay (Ricky Bobby), Tim Burton (Sweeney Todd) e Martin Scorsese (Hugo Cabret) e quest’anno Aaaron Sorkin (Il Processo ai Chicago 7). Ora riveste i panni di Borat Sagdiyev, lo sprovveduto reporter «kazako» Borat - Seguito di film cinema: consegna di portentosa bustarella a regime americano per beneficio di fu gloriosa nazione di Kazakistan. Il sequel dell’originale studio «antropologico» - sulla piattaforma streaming di Amazon Prime Video - si innesta sull’America di Trump e della pandemia, una nazione in cui l’impeto razzista, ignorante e violento è stato reso esplicito dal presidente che nel nome degli istinti peggiori del suo paese, tenta ora di consolidare il proprio potere con una spallata potenzialmente fatale a quel che resta della «più grande» democrazia. E le risate dietro agli sketch grotteschi e scabrosi di Borat sono più amare – e urgenti, dato che, come ci dice Baron Cohen, ci troviamo ora «sull’orlo di un baratro.»
Come mai ha pensato di rimettersi il vestito grigio?
Mi sono reso conto che Borat era un personaggio perfetto per l’era di Trump perché in realtà è semplicemente una versione più estrema del presidente. Sono entrambi misogini, razzisti, entrambi antisemiti, né hanno interesse alcuno per la democrazia. Tutti e due sono oscurantisti convinti e ridicoli. Ho capito che interloquendo con sostenitori trumpisti nelle vesti di Borat avrei potuto rivelare fin dove erano disposti a spingersi nel realizzare l’estremismo espresso dal presidente. Quando nel comizio trumpista la gente si unisce al coro di Borat che invita ad affettare i giornalisti come fanno i Sauditi, ho cercato di mostrare quanto vicini al precipizio ci troviamo, un punto da cui si scorge l’orlo della democrazia e il baratro dell’autocrazia in cui rischiamo di precipitare. L’abisso in cui gli attacchi retorici alla stampa potrebbero realisticamente trasformarsi in violenza fisica. E dato che la stampa è un obbiettivo primario dell’intimidazione trumpista, così ho pensato di rimettere in azione uno dei padri originari del fake news. Per far ridere. Ma anche per illuminare il pericolo mortale che l’America affronterà nelle prossime settimane.
Quindi non è casuale la data dell’uscita?
Ho voluto che questo film uscisse prima delle elezioni perché sono profondamente preoccupato che Trump possa definitivamente minare le nostre istituzioni democratiche e spingere il paese verso una inesorabile svolta autocratica. Esiste il pericolo concreto che possa cercare di rimanere al potere anche se dovesse perdere le elezioni.
Com’è diverso dal primo, questo Borat?
Il primo film voleva smascherare il ventre più spiacevole dell’America. Stavolta ho preso atto che il ventre è ormai fin troppo esposto, è alla luce del sole e i sentimenti inconfessabili che rivelavamo 14 anni fa, sono ormai apertamente affermati dal presidente degli Stati uniti. Semmai mi sono trovato a rivelare l’umanità di alcune persone pur nel momento in cui professano queste idee che fanno orrore. I due complottisti con cui nel film passo cinque giorni, ad esempio, alla fine si rivelano in fondo essere brave persone che i social media e l’internet ha esposto ad una dieta costante di menzogne.
Lei ha criticato duramente i social….
Sostanzialmente oggi una manciata di persone controlla l’informazione disseminata a miliardi di persone in tutto il mondo. È fondamentalmente antidemocratico, nessuno ha eletto queste persone e non rispondono a nessuno. Abbiamo assistito ad uno stravolgimento più radicale di quello provocato dalla rivoluzione industriale, un mutamento legato ad un’altra evoluzione tecnologica accolta inizialmente come uno sviluppo positivo ma che si è rivelata avere implicazioni che stanno diventando palesi. Molte nazioni ora stanno cercando di istituire norme che possano limitare questa influenza. I social sono la più possente macchina propagandistica della storia, fatta apposta per diffondere menzogne in maniera efficiente. Molto più rapidamente della verità. E i leader democratici sono automaticamente svantaggiati, dato che i fatti di solito sono meno eccitanti, la verità è noiosa, non produce click. Questo spiega come mai negli ultimi cinque anni abbiamo assistito in vari paesi a risultati elettorali che non sarebbero normalmente stati spiegabili. Esiti populisti dove in cui la gente spesso vota contro i propri interessi. Io credo che si debba per forza cambiare questa situazione e le misure recentemente annunciate da diverse piattaforme mi sembrano un inizio promettente.
Quindi non una coincidenza l’ascesa parallela di tanti despoti populisti nel mondo?
Intanto credo che aver cooptato il concetto di fake news a proprio favore, ritorcendolo contro la stampa, sia stato un colpo di genio orwelliano da parte di Trump. Trump neutralizza ogni contraddittorio come «fake news». Io sono un comico, non un accademico o un politologo, ma mi sembrano evidenti alcune cose. Innanzitutto l’America rimane il paese più influente sul pianeta, cosicché se viene eletto un demagogo autoritario qui, è inevitabile che vi siano ricadute internazionali. Diventa molto più facile in altre democrazie eleggere demagoghi simili. E ancora una volta, l’ascesa di questi populisti è direttamente correlata con la diffusione di internet e dei social. La democrazia dipende da verità condivise mentre le autocrazie si reggono sulla condivisione delle menzogne. Quindi credo che fra leader autocratici e internet esista una simbiosi. E vorrei aggiungere una cosa importante: nelle prossime settimane si determinerà se gli Stati uniti rimarranno una democrazia o se compiranno il passo inesorabile verso l’autocrazia. Credo fermamente che tocchi a tutti noi alzare la voce. Io sono un comico, faccio film e per questo ho voluto fare uscire questo ora. È la mia forma di protesta, è l’unico modo che conosco per far sentire la mia voce.
Per farlo si è esposto a rischi anche notevoli, vista l’aria che tira….
Guardi ovviamente subisco la paura come chiunque altro. Spesso scrivo le scene coi mei collaboratori e al momento, in quella stanza ci sembra un idea geniale. Poi arriva il momento di girarla e sono terrorizzato. Sono i momenti in cui ha ricordato a me stesso la ragione per cui stavo facendo questo film. Certo i rischi ci sono ma sentivo che se non avessi fatto tutto quello che potevo in questo momento storico, se non avessi detto tutto quello che potevo per cercare di avere un impatto, non potrei vivere con la vergogna negli anni a venire. Questo è il momento di alzarsi in piedi e di non essere un semplice osservatore. Credo che non abbiamo scelta.
Non proprio ottimista, quindi?
Davvero difficile a dire e in generale non credo che le persone abbiano particolare titolo ad esprimersi a riguardo solo in quanto celebri. Mi sembra però che siamo destinati a passare tempi cupi nella misura in cui molta altra gente soccomberà al Coronavirus. Molti di questi a causa del rifiuto dei politici di seguire i consigli degli esperti. Vi sarà qualcosa di buono che verrà da questo orribile periodo che incombe? Lo spero ma temo che ci sarà ancora molta sofferenza ed è difficile rimanere positivi. Quanto all’America, potrebbe trovarsi presto in una posizione molto peggiore a seconda del risultato delle elezioni. Quindi è difficile essere ottimisti al momento.

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