VISIONI

Il Boss e quella lettera scritta in purissimo rock and roll

Non un disco politico, ma chiare sono le allusioni all’inganno del potere
ALESSANDRO PORTELLIUSA

A chi scrive Bruce Springsteen? Dipende da come leggiamo lo you in Letter to you, il nuovo disco in uscita il 23 ottobre per Columbia Records/SonyMusic. Al singolare, è una lettera in una bellissima canzone d’amore. Al plurale, è una lettera rivolta a tutti noi che siamo cresciuti con la sua musica e le sue parole: «nella mia lettera a voi ho messo tutte le mie paure e i miei dubbi, tutte le cose difficili che ho imparato, il sole, la pioggia, le stelle della sera e cielo azzurro dell’alba…» Ho preso tutte queste cose e le ho messe in una lettera fatta di quasi mezzo secolo di musica «scavata col sangue e l’inchiostro dentro la mia anima e firmata col mio vero nome». Diceva tanto tempo fa a Miami Steve Van Zandt: «con Springsteen, per la prima volta riesco a immaginarmi di suonare il rock and roll a quarant’anni». Lui, Bruce e la E Street Band ne hanno settanta e ci spediscono una lettera fatta di rock and roll purissimo. Da sempre, la musica di Bruce Springsteen ha gli anni che ha lui, e non ha paura nemmeno di invecchiare: il vero tabù della controcultura è l’età adulta, e fin da Thunder Road Bruce Springsteen è stato il primo a capire che il rock and roll non appartiene a un solo momento, a una fase adolescenziale della vita, ma è capace di accompagnare il tempo e intridersi di storia e memoria.
FACCIO un esempio. L’attacco di Janey Needs a Shooter ci restituisce i suoni gloriosi di Born in the U.S.A., e già questo è storia. Ma, come sempre, il testo è di una durezza inusitata. Già da un pezzo Bruce aveva violato uno dei tabù del rock: va bene parlare di sesso, ma mai di quello che ci sta intorno. Janey Needs a Shooter va oltre: chi mai nel rock and roll (e non solo) ha avuto il coraggio di dare forma alla solitudine profonda descrivendo il gelo di una visita ginecologica (e poi dicono che ha solo un punto di vista maschile) dove ti scavano dentro al corpo con le dita ma il tuo cuore lo conoscono solo col metallo dello stetoscopio? In questa solitudine (ribadita da altre finte figure di protezione, il prete, il poliziotto), Janey ha bisogno di uno shooter, di qualcuno che lei stia accanto, armato, pronto a difenderla. Shooter è un termine dello slang della malavita, ma è fin dai tempi, appunto, di Thunder Road, quando partivamo per «case the promised land», studiare la terra promessa come i rapinatori studiano una banca prima del colpo, che sappiamo che a questo mondo ci stiamo di traverso, illegali, clandestini, destinati un anno dopo l’altro a bruciare lungo la strada.
ALMENO un paio di brani – Janey Needs a Shooter, If I Was the Priest – sono recuperati dai suoi inizi, fin dagli anni ’70, e rivestiti di rock and roll sembrano nuovi di zecca. Fin dall’inizio, Springsteen ha emancipato il rock and roll dalla gabbia del presente, e questa lettera serve anche a ricapitolare i tempi della sua vita. I’ll See You in My Dreams (anche una citazione dalla classica Goodnight, Irene di Huddie Ledbetter e dei Weavers) sembra una normale canzone d’amore, ma è un’elegia agli amici e ai musicisti scomparsi nel corso degli anni. Non ci sono più Clarence Thomas e Danny Federici, non c’è più il suo primo batterista mandato a morire in Vietnam. In Last Man Standing, altro ironico titolo da western, riflette dolorosamente su come, di tutti i compagni con cui ragazzi andava a suonare da ragazzo («Venerdì sera alla Union Hall»: echi di Little Richard, Rip It Up; ma anche del mondo operaio di Working on the Highway e The River) lui è l’ultimo rimasto – ma è ancora standing, ancora in piedi. Tristezza ma non resa né nostalgia: siamo orfani, ma è inutile cercare nel passato padri scomparsi e leggende perdute; abbiamo un passato ma ancora un futuro, «l’aurora brillerà sul vostro cammino» (Song for Orphans) e io «sono vivo e sto venendo a casa» (Ghosts).
BATTI IL TEMPO e innesta l’overdrive, alla fine del set li avremo stesi tutti (Ghosts, indimenticabile). Una lettera come questa la poteva scrivere solo la E Street Band (l’ho già scritto in passato e lo ritrovo qui: la sola, vera, unica «gioiosa macchina da guerra» di cui abbia conoscenza), perché fin dall’inizio il suono che la band fa insieme è il cuore, il simbolo, la matrice della guerra dei suoni contro la solitudine raccontata dalle parole. Per questo, il disco nel suo insieme, e più di una traccia al suo interno, ha un inizio quasi acustico, con la voce di Springsteen nei suoi toni più intimi e scuri; poi di colpo la banda «kicks in», innesta l’overdrive, ed è come se si accendesse la luce e improvvisamente siamo tutti insieme. Come nel primo Springsteen, anche qui è presente la dimensione del sacro; ma della religione Springsteen ha sempre raccolto soprattutto il fervore, l’intensità (Burnin’ Train, Power of Prayer), che si riversano nell’amore terreno e nel senso di comunità. Un paio di volte nel disco ritorna una parola umile ma cara a Springsteen: «meet me», incontriamoci . Meet me in the City (l’aveva cantata già a San Siro nel 1985), «meet me tonight in Atlantic City»… E adesso, «Meet me darlin’ in the house of a thousand guitars».
IL CLOWN criminale è salito sul trono, e ruba quello che non potrà mai essere suo (House of a Thousand Guitars). Questo non è un disco esplicitamente politico come altri, fino a Wrecking Ball; ma nella ricerca di senso e di verità non dimentica che la menzogna e il falso stanno al centro del potere: «È una partita truccata senza regole» (Power of Prayer). Già in Magic aveva usato la figura dell’illusionista per alludere alla manipolazione e all’inganno del potere; adesso, è il Rainmaker, il mago della pioggia: «certe volte la gente ha tanto bisogno di credere in qualche cosa che ingaggiano un mago della pioggia che gli porta via tutto quello che hanno».
LA CASA delle cento chitarre è la riposta: la casa della musica, dove chi è fuori al freddo, solo, orfano, trova rifugio e speranza. In un’America polarizzata e divisa, ha detto in un’intervista recente, c’è bisogno di unità. Aveva detto, anni fa: l’utopia è un posto dove sei con gli altri ma hai anche spazio per te. Bene, la musica è questo; non la fai da solo ma la tua voce non sparisce, si distingue in mezzo a tutte le altre e dalle altre riceve potere. Perché il rock and roll è comunità, è famiglia, è amicizia, è lavoro condiviso, è solidarietà; e il rock and roll non mente.

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