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La sconfitta di lungo periodo

Sinistra
PAOLO FAVILLIITALIA

Gli articoli di Marco Revelli e Tommaso Di Francesco pubblicati su questo giornale il 7 marzo 2018, subito dopo il disastro delle elezioni legislative, addolorati e insieme analiticamente fecondi sulla sinistra che «se n’è andata» e sulla «voragine» aperta, potrebbero essere ripubblicati oggi senza mutamento alcuno. Il che significa la tendenza continua della «voragine» ad allargarsi ed approfondirsi e riprodursi costantemente.
Non abbiamo riflettuto abbastanza sul mutamento della coscienza collettiva su cui ha influito pesantemente il modo in cui le varie «cose» e poi il Pd hanno operato nella liquidazione (uccisione?) del Pci, narrandola come passaggio necessario per la «modernizzazione» della sua migliore tradizione. La realtà, che può ampiamente provarsi, è stata l’esatto contrario: cioè la costruzione di una «sinistra per simmetria».
«Due destre» allora?
Dal punto di vista delle concezioni relative al rapporto economia-società l’uso dell’espressione «due destre», con tutte le indispensabili distinzioni, ha senz’altro solido fondamento, ma dobbiamo essere coscienti che si tratta di realtà molto diverse
Siamo, dunque, costretti a rimanere vittime di un meccanismo infernale? Le politiche di Pd ed assimilati hanno avuto importanti responsabilità nell’aver trasformato strati popolari in componenti di quel magma plebeo-populista che è la base di massa del leghismo e del neofascismo, tuttavia bisogna supportarle per evitare qualcosa di molto peggio. Non scegliamo noi le fasi storiche e politiche in cui ci troviamo ad operare, per cui non hanno torto coloro che ci esortano alla «(dura) prova delle alleanze» (E. Carra, il manifesto, 4 ottobre), ma in concreto i suggerimenti sfumano nella vaghezza.
Si usa, opportunamente, il termine «alleanza», ma senza definirne né i termini, né, soprattutto, i contraenti. Le alleanze si fanno tra forze politiche organizzate, tra partiti, qualunque ne sia la forma e la consistenza. Nel nostro caso, però, dal 2008 non ci sono più state alleanze, bensì variazioni del tema enunciato con esemplare chiarezza da Eugenio Scalfari nel 2013: la coalizione di centrosinistra si doveva identificare nel «Pd con in pancia Vendola». In seguito nella pancia del Pd si sono alternati altri, ma lo schema è rimasto lo stesso. E lo stesso ci viene riproposto oggi, visto che stare nella pancia del Pd ha permesso all’Italia di avere un governo «che comprende (…) tutte (il corsivo è mio) le componenti di sinistra» (Carra, cit.) In sostanza il «campo largo» auspicato da Zingaretti. Anche ora non si riflette davvero sul carattere strutturalmente stabilizzante lo stato di cose presente che il Pd coerentemente ha interpretato ed interpreta. Naturalmente il fatto di essere partito establishment non impedisce che sia soggetto ad oscillazioni relativamente ampie: da Renzi che considerava il jobs act la cosa più a sinistra mai fatta, alle sensibilità di sinistra proprie dei contigui Speranza, Bersani, Schlein, ecc. Le oscillazioni, però, si producono a partire da un centro, così come nella composizione musicale le variazioni sono sempre connesse al tema. Ed il tema della sinistra è diverso, non può che oscillare intorno al motivo della contraddizione e non certo a quello dell’establishment.
Ciò non esclude la necessità, in certe circostanze, della «(dura) prova delle alleanze», ma per fare alleanze bisogna esserci come forza organizzata, con una struttura, certo non rigida, con un tema a fondamento, aperto a variazioni, di un partito, insomma.
Quanto ciò sia difficile lo sappiamo benissimo. Se studiamo la storia dei fallimenti ne vediamo le enormi difficoltà oggettive. Non possiamo, tuttavia, tacere su quelle soggettive. Al congresso di fondazione di «Sinistra Italiana» il tema introdotto da Fabio Mussi nella relazione d’apertura fu molto preciso ed impegnativo. Lo si faceva derivare dalla collocazione entro le coordinate del «pensiero critico» (espressione nel testo), che non intendeva confondersi con un generico «campo progressista». Le scelte politiche seguite al Congresso furono, invece, variazioni senza connessione con il tema.
Il problema si ripresenta oggi in un contesto più sfavorevole di allora. La costruzione dell’organizzazione politica di cui si è detto, è un’assoluta necessità. La necessità non diventa automaticamente azione. Possiamo sperare in soggettività politiche che ne abbiano piena consapevolezza?

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