VISIONI

Il riso amaro di Goran Paskalievic

Addio al grande regista serbo autore di «Il bagnino d’inverno» e «La Polveriera»
SILVANA SILVESTRIserbia

È morto venerdì scorso a Parigi all’età di 73 anni un grande regista serbo di fama internazionale, Goran Paskalievic, conosciuto in Italia più per i suoi ultimi film che parlavano della dissoluzione della Jugoslavia come La polveriera o di migranti (Honeymoon girato a Brindisi) che per i suoi primi film che portarono alla ribalta il cinema jugoslavo negli anni Settanta, come il suo esordio Il bagnino d’inverno. Era nato a Belgrado, allevato dai nonni dopo il divorzio dei genitori e aveva cominciato a occuparsi di cinema lavorando alla Cineteca di Belgrado per poi andare a studiare alla Famu la celebre scuola di cinema di Praga insieme ad altri giovani jugoslavi che avrebbero regalato al cinema opere di esplosivo umorismo e surrealismo tipico della tradizione culturale di Belgrado come di quella boema (Markovic, Keranovic, Grlic, in seguito Kusturica).
L’INSOFFERENZA verso la retorica e il potere autoritario che caratterizzava le generazioni di tutto il mondo negli anni Sessanta, prendeva alla scuola di cinema di Praga una connotazione di particolare ribellione, nel caso di Paskalievic condita con una vena malinconica che rendeva amare le risate. Inno del Famu in quegli anni era l’inno di Miracolo a Milano, il neorealismo era come un punto di riferimento per tutti loro e per Paskalievic in modo programmatico («la base di tutti i miei film è il neorelaismo» diceva). Forse Elmar Klos il suo professore alla scuola di cinema, premio Oscar con Kadar per Il negozio al corso», autore «vietato per sempre» dopo l’invasione dei carri armati russi, gli aveva indicato pericolose prospettive, ma il suo saggio di scuola Pan Hrstka (il signor Hrstka, 1969) fu subito censurato dalle autorità ceche perché metteva in cattiva luce gli operai.
PROTAGONISTA era un omino senza qualità, dimesso e un po’ patetico, operaio con un secondo lavoro come modello nella classe di nudo degli studenti dell’Accademia di Belle Arti, un tipo incontrato per caso una sera su cui imbastisce interviste tra i compagni di lavoro che lo giudicano un pigro matricolato e tra gli studenti che lo trovano brutto come un vampiro. Gli operai scherzano tra loro, fanno il sollevamento pesi con gli attrezzi di lavoro, bevono birra con sullo sfondo gli slogan del comunismo. Isolare nel racconto un emarginato, un solitario, anche un po’ spostato lo farà ancora nei suoi film, personaggio da una parte che trae ispirazione dagli emarginati del neorealismo, ma anche utile soggetto a evidenziare il senso di una assurda «normalità» diffusa. Il suo esordio nel lungometraggio Il bagnino d’inverno nel ’76 fu un caso, un enorme successo, diventò campione di incassi dopo aver vinto come miglior regia al XXIII festival di Pola, spalancando le porte e l’interesse dei produttori anche alla nuova ondata dei colleghi della scuola di Praga. La novità era che mettevano in scena tematiche contemporanee diventando un facile bersaglio della potente critica ufficiale perché sembravano ricercare valori borghesi, mostravano il desiderio di uscire dai confini del paese e sfuggivano il lieto fine. Tutte queste caratteristiche erano espresse nel Bagnino d’inverno, dove il giovane protagonista cercava in ogni modo di sfuggire a una realtà senza prospettive. Paskalievic, come i suoi coetanei che non avevano fatto la guerra, non aveva più collegamenti con i cineasti del «cinema nero» di dieci anni prima, anche se Pavlovic per lui è stato un modello. Altrettanto successo ebbero Il cane che amava i treni (’77), I giorni passano sulla terra (’79), Trattamento speciale (’80), ma via via sarebbe diventato più difficile trovare finanziamenti per i film anche perché la censura non amava gli emarginati, le ambientazioni underground, il rifiuto di problematiche considerate «serie» di quei film e la crisi economica si faceva sentire.
I SUOI FILM trasmetterannolo stato delle cose: L’estate tardiva del ’68 (1984) segna la fine di un’epoca, dopo di che si troverà ad essere testimone della dissoluzione del suo paese e ne ritrarrà precisamente le avvisaglie e i drammatici esiti, in Tango argentino (’92) quando sarà costretto a lasciare il paese, mostrando in Bure Baruta (la Polveriera, 1998, ribattezzato negli Usa giocosamente Cabaret Balkan) tutta la violenza repressa ed esplosiva. O quando tornerà ma, politicamente sgradito, dovrà recarsi in Irlanda a girare Come Harry divenne un albero (2001) e in Ottimisti (2006) comporrà la satira della Serbia post Milosevic. L’ansia giovanile di uscire dai confini è stata finalmente e a lungo appagata, tra Usa, Italia (dove ha appena girato Nonostante la nebbia) e Francia dove aveva la residenza e la doppia nazionalità. Mantenendo intatta la nostalgia del suo paese.

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