CULTURA

Anche i lettori forti combattono con i loro social

Express
MARIA TERESA CARBONEUSA

Ci sono momenti (rari) in cui viene da pensare che la lettura – intendendo per lettura la contiguità prolungata con un libro magari superiore alle ottanta/cento pagine – non sia destinata a estinguersi nel giro di pochi anni. Questa settimana, per esempio, abbiamo letto con sorpresa un articolo che dà addirittura per scontata la presenza, là fuori, di un numero elevato di persone pronte a dedicare buona parte del loro tempo a questa pratica desueta. Lo ha scritto Sarah Manavis per il New Statesman e si intitola Why Goodreads is bad for books, che si potrebbe tradurre più o meno con «Perché Goodreads – cioè Buoneletture – non è buono per i libri».
Cosa c’è che non va in Goodreads, il più diffuso social network per lettori forti? Meno conosciuto in Italia del coetaneo e rivale Anobii (nato negli Usa ma nel 2014 acquisito da Mondadori), il sito viene fondato negli anni Zero da una coppia statunitense, Otis e Elizabeth Chandler, decisa a sfruttare le potenzialità della rete per consentire agli aderenti di catalogare facilmente i loro libri e per aprire spazi di discussione tra lettori con gusti affini. L’intuizione è giusta: nel 2012 Goodreads conta dieci milioni di membri sparsi nel mondo e una trentina di dipendenti addetti alla sua gestione.

Quello che succede dopo, si può immaginare: nel 2013 arriva il solito colosso pigliatutto, in questo caso Amazon, e inghiotte Goodreads. All’apparenza la mossa è intelligente, visto che Amazon vende (anche) libri e un forum di lettori si può inserire bene nella sua strategia aziendale. Purtroppo, spiega Sarah Manavis, non è così: forte dei suoi muscoli, la piattaforma di Bezos non ha investito su Goodreads, con il risultato che oggi «il sito è sostanzialmente uguale a quando è stato varato, il design – goffo e poco funzionale – assomiglia alla pagina Myspace di un adolescente del 2005, la ricerca dei titoli non funziona, i messaggi diretti non partono, i suggerimenti di lettura non sempre si allineano alle inclinazioni dei lettori».
Inutili le proteste dei membri, costretti a mangiare l’insipida minestra di Goodreads. Perfino il salto dalla finestra pare precluso: di fatto il sito non ha concorrenti, visto che il suo più diretto antagonista, LibraryThing è quaranta volte più piccolo e oltre tutto appartiene a Amazon per il 40 per cento.
Ma le cose, forse, cambieranno: un nuovo sito, The StoryGraph, ancora in fase beta, si prepara a insidiare il monopolio di Goodreads. La fondatrice, Nadia Odumayo, non intende però replicare lo stesso modello.

«In base alle mie ricerche – ha detto a Manavis – sono arrivata alla conclusione che Goodreads è carente soprattutto sulle raccomandazioni dei libri da leggere». Per questo The StoryGraph propone ai nuovi membri un questionario dettagliato sui loro gusti (per esempio, alla domanda «cosa ti allontana da un libro?», troviamo una gamma di risposte, fra cui «personaggi piatti», «scrittura povera», «finale triste») e al tempo stesso cerca di definire al meglio le opere in arrivo con i tag e con sinossi dettagliate. Poca attenzione, invece, per i voti dei lettori: «Attribuire a un libro 4 o 5 stelline è una questione personale», dice ancora Odumayo, «quello che conta è cogliere il tono generale, il ritmo, il tipo di intreccio». L’avvio è promettente: anche se il sito è embrionale, si sono registrate già circa 40.000 persone, un numero destinato a crescere se The StoryGraph catturerà l’attenzione dei lettori che vogliono ribellarsi allo strapotere di Amazon. Certo, se il sito avrà successo, è possibile che il Big Tech un giorno o l’altro lo risucchi al suo interno, proprio com’è stato con Goodreads. Ma i tempi per questo sono lontani.

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