INTERNAZIONALE

I rifugiati non si fidano, pochi nel nuovo campo

Il presidente del Consiglio europeo Michel a Lesbo visita le nuove tende e chiude all’accoglienza. Solo la Germania si va avanti
VALERIO NICOLOSIgrecia/lesbo

«Penso che dobbiamo continuare a lavorare per il controllo delle nostre frontiere e a collaborare con i Paesi esterni per essere più efficaci nelle politiche migratorie» dice Charles Michel durante la sua visita al nuovo campo nell’isola di Lesbo. Il presidente del Consiglio Europeo è arrivato sull’isola a ribadire che la posizione europea è quella di chiusura, di non accoglienza. Il governo greco ha così un alleato che da un lato gli dà importanza in quanto «scudo d’Europa», come Ursula Von der Leyen aveva definito il Paese ellenico lo scorso marzo, quando Erdogan decise di aprire le frontiere, ma dall’altro la linea dura continua a penalizzare Grecia, Italia e Spagna, Paesi d’arrivo e dove le persone vengono registrate perdendo la possibilità di spostarsi negli altri Stati europei.
CHARLES MICHEL cammina in mezzo alla spianata che in tempo record è stata costruita dall’esercito ellenico, lavorando giorno e notte e tirando su oltre 400 tende, quasi tutte dell’Unhcr mentre altre provengono dalla Germania, Austria, Danimarca e altri Paesi. Tra gli aiuti arrivati ci sono anche sacchi a pelo, coperte e altri materiali che sicuramente saranno utili nei prossimi mesi visto che le unità abitative che dovrebbero ospitare i profughi sono di semplice plastica, caldissime sotto i 30° di questa stagione e fredde d’inverno, mentre la spianata di terra diventerà di fango con le prime piogge. In un’improvvisata conferenza stampa all’interno del campo il presidente del Consiglio europeo ha detto: «Io sono qui perché i Paesi europei devono collaborare e per portare solidarietà».
Sulla collaborazione ancora non c’è stata molta risposta, solamente la Germania si è detta disponibile ad accogliere 1.500 persone tra quelle che erano nel campo di Moria fino a pochi giorni fa (altri 9 paesi Ue si distribuiranno solo i minori non accompagnati), ma la partita dei trasferimenti è ancora tutta da giocare visto che il braccio di ferro tra migranti e governo greco è ancora in corso. Sono infatti solamente 1.000 quelli che hanno deciso volontariamente di vivere nel nuovo campo e quindi sono circa 11.000 o profughi che stanno vivendo in strada con piccole capanne di fortuna ammassate lungo la litoranea.
IL MINISTRO della Protezione civile greco, Michalis Chrysochoidis, ha detto che tutti andranno via dall’isola e che entro Natale saranno spostate i primi 6.000, tutti gli altri entro Pasqua. La condizione per il trasferimento sulla terraferma che pone il governo però è quella che tutte le persone devono entrare nel campo, registrarsi e poi attendere il trasferimento all’interno della struttura, visto che una volta entrati non possono uscire.
Mentre Charles Michel parla alla stampa molti dei 1.000 volontari si fanno il bagno nella fetta di mare prima del filo spinato, messo lì per evitare che le persone scappino a nuoto, altri sono già nelle tende ma il rigido ufficio stampa governativo non permette ai giornalisti di girare nel campo da soli.
«NOI NON CREDIAMO più ai greci, dopo anni dentro Moria non vogliamo tornare in un altro campo» racconta Shamsia, una donna afghana molta combattiva di 36 anni che si è accampata a poche centinaia di metri dal campo, in una baracca fatta di 4 bastoni e un telo, aggiunge: «Io posso tornare in Afghanistan, ormai la mia vita è segnata, ma voglio che i miei figli possano studiare, lavorare ma soprattutto essere liberi. Siamo scappati dai talebani e ci siamo ritrovati nella prigione di Moria».
A pensarla come Shamsia sono in migliaia, tanto che il campo carbonizzato di Moria era pieno di persone che cercavano qualsiasi cosa che potesse essere utile alla vita in strada. «Nella parte meno bruciata qualcosa si è salvato e visto che abbiamo perso tutto per noi qualsiasi cosa è importante» racconta Khaled, un ragazzo afghano che è riuscito a riempire quella che una volta doveva essere una cassetta per trasportare il latte. Fa un giro di corda attorno alla vita e inizia a trascinare il pesante «bottino». Altri invece sono riusciti a riempire un cassonetto e hanno con loro anche un grande peluche a forma di orso.
Da un tubo davanti alla vecchia entrata di Moria esce dell’acqua fresca destinata ai campi e che invece viene usata da un ragazzo per farsi una doccia e lavare i panni. Nonostante tutto la vita va avanti.

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